Dott ssa Anna Bagnara ELEMENTI DI PSICOLOGIA SOCIALE
Dott. ssa Anna Bagnara ELEMENTI DI PSICOLOGIA SOCIALE
Cos’è la psicologia sociale? G. Allport ha definito la Psicologia Sociale: Lo studio scientifico delle modalità attraverso cui i pensieri, i sentimenti , e i Comportamenti degli individui sono influenzati dalla presenza, reale o immaginata, di altre persone. Scientifico Pensieri, sentimenti e comportamenti Individui Presenza di altre persone
Cos’è la psicologia sociale? La presenza di altre persone, le conoscenze e le opinioni che ci trasmettono, i nostri sentimenti nei confronti dei gruppi a cui apparteniamo, sono tutti elementi che ci influenzano profondamente attraverso i : Processi sociali Indipendentemente dal fatto che siamo soli o in compagnia. Anche percezioni, ricordi, emozioni, motivazioni esercitano una grande influenza attraverso i Processi cognitivi I processi sociali e cognitivi non sono separati, sono anzi strettamente connessi
I metodi di ricerca nelle scienze psicologiche e sociali I problemi della ricerca Le scienze psicologiche e sociali, che costituiscono l’ambito scolastico delle Scienze umane, sono discipline scientifiche, ma l’oggetto della loro osservazione non è attendibile e verificabile come lo è per altre scienze, poiché queste discipline non hanno oggetti immediatamente identificabili e non si limitano a osservare i comportamenti, ma tentano di indagarne le cause: offrono quindi un quadro di riferimento che è fatto di probabilità più che di certezze. Per questa loro peculiarità, tali discipline elaborano particolari metodi di ricerca, pur prendendoli in prestito, molto spesso, da altri settori.
I metodi di ricerca nelle scienze psicologiche e sociali I problemi della ricerca Il concetto di metodo è storicamente legato all’acquisizione della certezza in campo conoscitivo. Il metodo è un insieme di criteri che consentono di effettuare una ricerca o di utilizzare un procedimento scientifico in modo tale da rendere possibile la verifica dei risultati ottenuti. Quando si può affermare che un’indagine sociale o psicologica è valida?
La validità può essere di diversi tipi: validità interna, quando il ricercatore è sicuro che la sua inchiesta è valida almeno nel campo entro il quale è stata condotta. Ad esempio, se un ricercatore ha effettuato un’intervista, ed è convinto che nel corso del dialogo sia andato tutto bene, egli può affermare che la sua indagine ha una validità interna; validità esterna, che va al di là della correttezza formale e che rende l’indagine applicabile anche in altri ambiti rispetto a quello in cui è stata svolta. Se un’indagine ha solo validità interna, è pressoché inutile sul piano scientifico in quanto non può riferirsi ad altre situazioni e non è, per questo motivo, un’indagine che porta a conclusioni utilizzabili;
validità statistica e validità di costrutto La validità statistica va al di là della descrizione dei dati raccolti, e produce, se le operazioni statistiche sono state effettuate in modo corretto, risultati certi. La validità di costrutto dimostra invece che l’indagine ha avuto l’esito che si proponeva il ricercatore: può infatti accadere che una ricerca contenga validità interna, esterna e validità statistica, ma che arrivi poi a dimostrare altre ipotesi rispetto a quelle che aveva in mente il ricercatore.
I metodi di ricerca nelle scienze psicologiche e sociali Le metodologie più utilizzate nelle scienze sociali sono: l’osservazione Il metodo sperimentale Il metodo clinico La simulazione
L’osservazione è il più antico metodo di ricerca psicologica e sociale; ’osservazione consiste nell’indagare un determinato fenomeno, nel prendere nota dei comportamenti manifesti delle persone, ovvero nel prestare attenzione a ciò che esse dicono e fanno. Dopo questa fase si passa alla registrazione dei dati emersi, servendosi di strumenti che consentono di raccogliere il maggior numero possibile di informazioni come registratori e telecamere. Questo sistema permette non soltanto di indagare sulle caratteristiche di un fenomeno, ma soprattutto di definire le condizioni in cui si verifica. Grazie all’osservazione si può studiare contemporaneamente il comportamento di più persone, laddove gli altri metodi utilizzati dalle scienze psicologiche e sociali, quasi sempre, permettono di controllare e analizzare un solo individuo o pochi alla volta. L’osservatore, in base alla propria esperienza e alle proprie modalità d’apprendimento e di percezione, prende nota dei fatti che osserva.
Rischi dell’osservazione Come tutti i metodi di ricerca, anche l’osservazione non è immune da rischi legati all’osservatore, alle persone osservate e alla situazione. I rischi legati all’osservatore hanno un limite naturale che è la soggettività delle opinioni. Chi osserva parte sempre da un’opinione propria, a volte anche da preconcetti, e può rimanerne influenzato a tal punto, da rilevare soltanto i comportamenti e le situazioni che confermano la sua ipotesi di partenza. A loro volta le persone osservate, per compiacere l’osservatore e sentirsi accettate, possono mettere in atto comportamenti che a loro giudizio le fanno apparire in una luce più favorevole. Gli osservatori più abili devono essere in grado di filtrare il loro materiale, cioè devono riuscire a comprendere quali sono gli atteggiamenti veritieri e quali sono quelli falsi, andando più a fondo nella ricerca.
I metodi di ricerca nelle scienze psicologiche e sociali: Il metodo sperimentale si propone di indagare sulle condizioni in virtù delle quali un fenomeno si verifica, in modo da individuarne la causa e gli effetti. L’esperimento è il metodo più utilizzato nelle scienze psicologiche, soprattutto per la psicologia sociale e per l’etologia; è poco frequente, invece, l’impiego del metodo sperimentale per la sociologia e l’antropologia. Le ragioni sono facilmente comprensibili: queste due discipline si occupano dello studio di fenomeni molto ampi, che riguardano una molteplicità di persone e di fattori, per cui è veramente difficile organizzare esperimenti. Il metodo sperimentale si sviluppa in tre fasi
I metodi di ricerca nelle scienze psicologiche e sociali: Il metodo sperimentale La prima fase consiste nella circoscrizione della situazione sperimentale , in cui il ricercatore isola il caso della realtà da manipolare e da studiare, sceglie quindi un ambiente, un settore della vita e dell’esperienza, e persone che si prestino a essere analizzate alle condizioni dell’esperimento.
La seconda fase dell’esperimento è quella attiva , quella in cui il ricercatore provoca il cambiamento, manipola un fattore preciso (fattore x) per arrivare al proprio scopo.
C’è poi la terza fase in cui il ricercatore è pronto a rilevare gli effetti e le conseguenze del cambiamento prodotto: egli prevede quali siano queste conseguenze e sa, quindi, che l’introduzione del fattore x produrrà un altro fattore (y). Oltre a questi fattori x ed y, ne esistono tanti altri, alcuni dei quali possono influire sull’andamento dell’esperimento: può accadere che l’effetto y sia provocato da un fattore h, anziché dalla manipolazione del ricercatore, Gli studiosi devono sempre tenere sotto controllo questi eventuali fattori aggiuntivi per circoscriverli e far sì che non rischino di fuorviare le loro operazioni
Le variabili sono i diversi fattori che influiscono sulla modificazione di un fenomeno. Il fattore x, di cui abbiamo parlato prima, ovvero il fattore derivante dall’intervento del ricercatore sulla realtà, prende il nome di variabile indipendente; la variabile y, che è la conseguenza della manipolazione è la variabile dipendente. Tutte le altre variabili, che possono cambiare il corso dell’esperimento programmato dal ricercatore, sono dette variabili accessorie o intervenienti Dunque, le variabili indipendenti costituiscono gli stimoli a cui il soggetto dovrà reagire. Le reazioni dei soggetti, invece, cambiano col variare delle situazionistimolo, ossia dipendono da queste ultime e perciò sono definite variabili dipendenti. Questi fattori costituiscono le variabili che devono essere esaminate e che sono oggetto di studio del ricercatore.
ll controllo dell’esperimento Affinché le variabili non producano mutazioni nel processo sperimentale è fondamentale il lavoro di controllo del ricercatore. I fattori che possono far variare i risultati dell’esperimento possono essere fattori interni e fattori esterni: i primi riguardano l’interiorità dei soggetti su cui verte la sperimentazione. . I fattori esterni, invece, sono legati a delle semplici circostanze ambientali.
Il metodo clinico viene usato in psicologia allo scopo di studiare la persona nella sua globalità, e per formulare, quindi, una diagnosi di personalità. Si tratta dell’individuazione dello stato di salute o di disagio di un individuo, mediante l’impiego di strumenti adatti e le opportune tecniche di misurazione e valutazione. Nel laboratorio di uno psicologo o di uno psichiatra, generalmente, si svolge un colloquio clinico in cui il paziente chiede aiuto all’esperto in materia perché ha problemi mentali, o difficoltà ad affrontare le situazioni della vita. Lo psicologo esamina il paziente, cercando di indagare le motivazioni del suo comportamento, e portare alla luce i suoi problemi e i suoi conflitti, per aiutarlo ad affrontarli e a superarli.
Il metodo clinico Lo studio dei problemi del paziente avviene attraverso un dialogo. Occorre innanzitutto precisare che lo psicologo deve cercare di osservare il paziente nel maggior numero possibile di situazioni per poter indagare sul suo comportamento e sulle modalità con cui interagisce con l’ambiente. Per poter svolgere un lavoro di questo tipo lo psicologo si avvale di diverse metodologie, strumenti e tecniche di indagine. Possiamo distinguere tipi di metodologie, utilizzate in occasioni differenti, a seconda dell’obiettivo da raggiungere nella ricerca e nella cura.
ll metodo diagnostico Si basa sulla diagnosi, con la quale lo psicologo cerca di capire quali sono le difficoltà reali del paziente ricorrendo all’anamnesi o all’intervista clinica. L’anamnesi è la ricostruzione della storia della vita della persona e serve a studiare come gli eventi reali sono stati vissuti e quali conseguenze possono aver avuto sullo sviluppo della personalità del malato. L’intervista clinica, invece, è un metodo per studiare il paziente osservando attentamente le sue reazioni alle domande, il suo comportamento e il suo modo di relazionarsi allo psicologo
La simulazione Nelle scienze psicologiche e sociali le ipotesi da verificare sono complesse e richiedono un lavoro impegnativo, poiché non si hanno realtà oggettive sotto gli occhi, ma si lavora spesso su dati poco concreti, difficili da sperimentare, qualitativi e non quantitativi, impossibili da tradurre in numeri. Gli studiosi, per questo motivo, utilizzano delle ipotesi sperimentali che prendono il nome di modelli
La simulazione Ad esempio, un ricercatore ha in mente un processo psicologico: lo analizza, distinguendo tutte le sue fasi, e cercando di renderlo il più oggettivo possibile. Se uno psicologo vuole studiare il modo in cui un individuo compie una scelta importante per la sua vita, quindi i ragionamenti che fa, le previsioni che elabora prima di decidere e così via, allora ipotizza una determinata catena di ragionamenti e stende un Modello di quel processo. Il ricercatore, nel modello, cerca di seguire un processo standard immettendo tutti gli elementi che concorrono alla scelta: gli obiettivi che la persona si prefigge, il calcolo dei pro e dei contro, i condizionamenti esterni, lo stato emotivo e così via. Questo è il modello che viene usato sempre come base da cui partire nella sperimentazione secondo sistemi diversi: lo si può scomporre in varie parti e testarle una alla volta, oppure lo si può sperimentare nel suo insieme ricorrendo alla simulazione.
Il test, uno degli strumenti di indagine più usati in psicologia, è la misurazione obiettiva e standardizzata di un campione di comportamento ed è utilizzato per analizzare le differenze fra le reazioni psichiche di più individui, oppure per studiare le reazioni di uno stesso individuo in diversi momenti o condizioni. Il soggetto da studiare si trova in una condizione in cui deve dire o fare qualcosa che possa essere utile alla ricerca degli studiosi. Le risposte dal soggetto da studiare vengono misurate, quantificate e analizzate attentamente, ma, per ottenere un risultato obiettivo, è necessario che i test siano costruiti in modo rigoroso. Il test consiste in una serie di prove standardizzate e semplici, che prevedono condizioni uguali per tutti e comprensibili a tutti. Il metodo del test è comunque indiretto e inferenziale. Grazie al test, i ricercatori possono valutare i singoli tratti della personalità, come l’intelligenza o l’affettività, oppure possono conoscerne la struttura globale, avendo la possibilità di formulare una diagnosi.
ll questionario Il questionario è uno strumento della ricerca psicologica e sociale, che consiste in una serie di domande , a cui bisogna rispondere per iscritto, miranti a indagare su opinioni, credenze, conoscenze relative a un qualsiasi fenomeno psicologico o sociale. Viene usato molto spesso per le inchieste, cioè per le indagini in cui si vuole esaminare l’opinione di un’intera popolazione o di un campione di essa. Prima di proseguire nell’analisi del questionario, però, chiariamo che cos’è il campione: dal momento che è molto difficile interpellare una popolazione intera per conoscere l’opinione di tutti, in genere interviste e questionari vengono rivolti ad una parte della popolazione, delimitata con criteri ben precisi, in modo tale che un gruppo possa rappresentare la totalità. La fetta di popolazione delimitata dagli studiosi è il campione, che viene utilizzato per ragioni economiche, di tempo e di risparmio di energie.
Tipologie di questionario a risposta aperta, domande a cui si può rispondere liberamente, come: «Che cosa pensi dei tuoi amici? » ; a risposta chiusa, a cui si risponde scegliendo fra alternative prefissate. Le domande a risposta chiusa sono: di tipo alternativo, quando le possibili risposte sono solo due (Sì / No; Vero / Falso) o, al massimo tre (Sì / Non so), di tipo quantitativo, quando le alternative proposte per la risposta indicano l’intensità, la frequenza, o la quantità di un comportamento, di una caratteristica o di un fenomeno sociale.
Tipologie di questionario Le varie tipologie di domande presentano vantaggi e svantaggi: le domande aperte permettono di conoscere le opinioni delle persone senza porre loro alcun limite, pertanto consentono di indagare in maniera più approfondita le opinioni della gente; ma richiedono tempi più lunghi per la trascrizione e per l’elaborazione delle risposte. Le domande chiuse, invece, permettono di raccogliere numerose informazioni in breve tempo e possono essere proposte a molte persone; inoltre le risposte alle domande chiuse sono divise in due o tre opzioni, non richiedono quindi interpretazione, e la loro trascrizione è immediata anche se limitano la libertà di espressione dei pensieri.
L’intervista è uno strumento di ricerca che consiste in un dialogo tra due persone, di cui una — l’intervistatore — pone le domande, mentre l’altra — l’intervistato — risponde. L’intervista è simile al questionario, ma presenta alcuni vantaggi: si adatta più facilmente alle caratteristiche individuali delle persone contattate, poiché ha la caratteristica della flessibilità, in quanto permette di modificare in parte l’orientamento della ricerca se i dati, mano che vengono raccolti, indicano una prospettiva più interessante. Tuttavia, rispetto al questionario, essa richiede maggiori capacità professionali, perché l’intervistatore deve evitare di influenzare direttamente, con le sue domande, o indirettamente, con il tono della voce, il comportamento, i gesti e la mimica facciale, gli interlocutori.
L’intervista Per quanto riguarda la forma, le domande possono essere prefissate in anticipo ed essere uguali per tutti, e quindi essere standardizzate, oppure è possibile stabilire alcune domande-tipo da cui partire per la ricerca, modificabili a seconda del contesto in cui si svolge l’indagine, delle situazioni e delle persone.
Tipi di intervista Intervista strutturata : quando l’intervistatore possiede una scaletta della sua intervista, e ha stabilito un elenco definito delle domande che dovrà porre, essa segue un ordine preciso che viene rispettato sicuramente. Intervista semi-strutturata: quando l’elenco delle domande viene deciso prima, ma l’intervistatore ha la possibilità di inserirne altre nel corso del dialogo, se ritiene utile acquisire ulteriori notizie, o risposte a domande che non aveva previsto. intervista non-strutturata: quando l’intervistatore non segue un copione e procede nella sua intervista improvvisando le domande a seconda delle necessità. Anche in questo caso, l’intervistatore ha in mente tutti gli argomenti di cui vuole parlare, ma procede nelle sue domande liberamente, senza dover seguire un elenco e un ordine
Ricerca - Azione Si intende per ricerca - azione un modo di concepire la ricerca che si pone l'obiettivo non tanto di approfondire determinate conoscenze teoriche, ma di analizzare una pratica relativa ad un campo di esperienza (ad esempio, la pratica educativa) da parte di un attore sociale con lo scopo di introdurre, nella pratica stessa, dei cambiamenti migliorativi. Nell'ambito del processo/progetto educativo la prospettiva della ricerca – azione si è rivelata produttiva anche in campo formativo, in quanto permette ai soggetti in formazione di essere "attori" del processo formativo. In campo educativo, la ricerca – azione costituisce un elemento cardine della pedagogia istituzionale, sia per quanto riguarda la formazione del personale, sia per quanto riguarda l'analisi della pratica educativa e il suo miglioramento.
Ricerca - Azione Partecipata La ricerca azione partecipata è impiegata in diverse pratiche sociali finalizzate al cambiamento, soprattutto nell’ambito del lavoro di comunità. Nella ricerca azione partecipata, l’azione non viene dopo la conoscenza, il quanto la conoscenza è già il risultato di un’azione e di un’interazione. Questa ricerca aiuta a costruire la capacità delle persone di essere attori creativi del loro mondo e di partecipare al processo di creazione della conoscenza. I dati non sono importanti, ma ai fini del cambiamento lo è il significato che i diversi attori sociali, attraverso un processo di negoziazione collettiva, attribuiscono ai dati. La ricognizione sociale rappresenta un modello particolare di ricerca azione partecipata. Si tratta di un’azione di conoscenza non approfondita di un territorio, dei suoi problemi, delle sue risorse.
Gli atteggiamento si intende qualunque rappresentazione cognitiva che riassuma la nostra valutazione di un oggetto - oggetto di atteggiamento Si possono avere atteggiamenti verso. . . - oggetti concreti (“quell’automobile mi piace molto”) - oggetti astratti (“la solidarietà è fondamentale”) - altri individui (“Luca mi è molto simpatico” - se stessi (“ho un’alta stima di me”) - gruppi (“gli americani sono molto efficienti”)
Gli atteggiamenti sono caratterizzati da UNA DIREZIONE L’atteggiamento verso l’oggetto può essere positivo, neutro o negativo UN’INTENSITÀ L’atteggiamento può essere moderato o estremo Direzione e intensità possono essere • misurate tramite scale di misurazione di atteggiamenti • inferite tramite osservazione del comportamento
Gli atteggiamenti ci sono molto utili e svolgono per noi diverse funzioni. A- funzione conoscitiva – l’atteggiamento organizza e semplifica la nostra esperienza; ci mette in condizione di padroneggiare l’ambiente e trattare i suoi oggetti in modo efficiente; B- funzione strumentale – l’atteggiamento ci indirizza verso gli oggetti che ci aiuteranno a massimizzare le nostre ricompense e a minimizzare le perdite; C- funzione di espressione – gli atteggiamenti ci permettono di esprimere la nostra identità, i nostri valori, la nostra visione del mondo; definiscono chi siamo
Interazione sociale: persona e relazioni interpersonali L’inizio di un nuovo corso Un colloquio di lavoro Un appuntamento galante Una riunione Sono tutte occasioni di interazione, in cui le altre persone ci osservano, influenzano i nostri sentimenti e il nostro comportamento. Noi, in genere, cerchiamo di essere all’altezza, di proporre una buona impressione, di cooperare, etc.
Interazione sociale: persona e relazioni interpersonali I processi sociali sono dunque i modi in cui i nostri pensieri, sentimenti, il nostro comportamento sono influenzati dalle persone con cui interagiamo, dai gruppi di appartenenza, dagli aspetti culturali trasmessi con l’educazione, etc. I processi cognitivi sono invece i modi in cui percezioni, ricordi, emozioni guidano la nostra comprensione del mondo.
Il Sé nella prospettiva psicosociale In psicologia il primo studioso a mostrare interesse nei confronti del sé è stato William James (1890), il quale ha sottolineato la natura molteplice del sé e, in particolare, l’esistenza di un sé associato agli aspetti sociali. Quest’ultimo riguarda le rappresentazioni della propria persona che traggono spunto dalle molteplici immagini che gli altri possiedono di noi. In altre parole, esistono tanti sé sociali quanti sono gli individui che di noi possiedono un’immagine.
Articolazione del Sé di James (1890) Sé come oggetto conoscente = Io Sé come oggetto conosciuto = Me Me = materiale, sociale, spirituale Rappresentazione del Sé relativa ad aspetti materiali e sociali
C. H. Cooley (1908) ha introdotto il concetto di: «looking glass self” o sé rispecchiato, per esprimere l’idea che la conoscenza di Sé si realizza osservando il modo in cui ci considerano gli altri L’importanza della matrice sociale nello sviluppo del Sé è stata ripresa da Mead (1934), secondo il quale il Sé non esiste alla nascita. La capacità di conoscere il Sé emerge quando sono presenti due condizioni: la capacità di produrre e rispondere a simboli la capacità di assumere gli atteggiamenti degli altri
Secondo Mead, il processo di assunzione dei ruoli e della prospettiva altrui si realizza attraverso due stadi successivi: il gioco semplice e il gioco organizzato Gioco semplice (play): il bambino è in grado di assumere, in successione temporale, i ruoli di persone presenti nel suo ambiente sociale: gioca ad essere la mamma o il dottore, ecc. Diviene oggetto a se stesso. Gioco organizzato (game): il bambino assume contemporaneamente i ruoli di tutti i partecipanti al gioco
Questo processo di interiorizzazione degli atteggiamenti generali della comunità permette la costituzione dell’Altro generalizzato Il Sé nasce dall’interazione fra Io e Me: mentre il Me riflette la società e le sue aspettative, l’Io costituisce la parte creativa e ricostruttiva del Sé, attraverso cui l’individuo può agire sulla struttura sociale
Forme molteplici di conoscenza del Sé La questione dei processi e delle forme di conoscenza di sé è stata oggetto di ricerca del cognitivismo. Neisser (1988), in una sintesi degli studi sull’argomento, individua 5 tipi di conoscenza di Sé Sé ecologico Sé interpersonale Sé esteso Sé privato Sé concettuale
Forme molteplici di conoscenza del Sé Sé ecologico ha origine dalla percezione del proprio corpo e delle sue parti rispetto agli altri oggetti dello spazio percettivo compare precocemente (all’età di circa tre mesi) si basa su due tipi di informazioni: la percezione visiva, e l’esperienza del sentirsi agire Sé interpersonale È il Sé coinvolto in un’interazione immediata con un’altra persona compare precocemente: già a 2 -3 mesi esiste una coordinazione nelle interazioni madre - bambino che crea intersoggettività si basa essenzialmente su informazioni di tipo cinetico
Forme molteplici di conoscenza del Sé Sé esteso si definisce in rapporto a esperienze significative del passato e ad aspettative per il futuro a tre anni, il bambino è consapevole dell’esistenza di Sé al di fuori del momento presente Sé privato riguarda la consapevolezza che alcune esperienze non sono condivise con altri secondo la maggior parte degli studi, questa consapevolezza si sviluppa intorno ai 4 anni e mezzo
Forme molteplici di conoscenza del Sé Sé concettuale, o concetto di sé è costituito da un insieme di assunzioni o sub-teorie che riguardano i ruoli sociali (ad es. , essere padre), il corpo, la mente, nonché tratti che l’individuo si attribuisce (ad es. , essere intelligente) contribuisce a tenere insieme i vari Sé creando un senso di unicità e coerenza
La funzione degli atteggiamenti COMPONENTE COGNITIVA: Ciò che si sa di un oggetto di atteggiamento, l’insieme di convinzioni Es. sono contraria al fumo perché conosco l’alto tasso di tumori ai polmoni tra fumatori COMPONENTE AFFETTIVA: Ciò che si prova per l’oggetto, i sentimenti, le emozioni suscitate Es. viaggio in treno perché ho paura dell’aereo COMPONENTE COMPORTAMENTALE: Conoscenze circa le interazioni passate, presenti e future con l’oggetto Es. sono a favore delle donazioni perché, ogni anno, faccio un versamento
Quanto più pensiamo al nostro atteggiamento verso l’oggetto, tanto più saldo diventa il legame tra oggetto e atteggiamento. - Il legame tra oggetto e atteggiamento diventa automatico Es. ragno animale disgustoso - L’atteggiamento sostituirà con maggiore probabilità le nostre conoscenze - L’atteggiamento diventa meno vulnerabile all’influenza esterna e alla comunicazione persuasiva
Le rappresentazioni sociali sono un sistema di riferimento che consente di attribuire un senso all’inatteso; una categoria che serve a classificare circostanze, eventi ed individui; una teoria che ci consente di deliberare su di essi.
Definizione di gruppo Il gruppo è un’entità complessa caratterizzata da: struttura organizzativa: definizione della posizione e delle competenze dei vari membri struttura gerarchica : leadership struttura normativa: definizione e condivisione delle norme di gruppo Per tutte queste funzioni è fondamentale la COMUNICAZIONE
Definizione di gruppo Gruppo definibile come UNA TOTALITÀ DINAMICA BASATA SULL’INTERDIPENDENZA INVECE CHE SULLA SOMIGLIANZA (Lewin, 1948). Il “destino comune” viene considerato un’espressione dell’interdipendenza tra individui generante il gruppo stesso. Variazione lungo un continuum della percezione di coesione di gruppo scarsamente coeso gruppo molto coeso
La coesione è una caratteristica positiva del proprio gruppo di appartenenza • i gruppi coesi incoraggiano la cooperazione; gli obiettivi di gruppo prevalgono su quelli individuali • i gruppi coesi esercitano maggiore influenza sociale; stabilisce norme convincenti per i suoi membri • i gruppi coesi attraggono e trattengono membri di valore; aiutano i propri membri ad affrontare le difficoltà
IL GRUPPO HA DUE ASPETTI CENTRALI • interdipendenza sociale: i membri del gruppo traggono gli uni dagli altri sentimenti positivi; il gruppo fornisce legami emozionali e un’identità sociale • interdipendenza nel compito: i membri del gruppo sono impegnati nello svolgimento di determinati compiti e nel raggiungimento di obiettivi; la buona riuscita dipende dall’impegno collettivo e dell’organizzazione
GRUPPO PRIMARIO C’è interazione diretta I membri sono uniti da vincoli di natura emotiva (es. famiglia, gruppo amicale) GRUPPO SECONDARIO I rapporti sono di tipo impersonale I rapporti sono generalmente determinati da scopi pratici Il gruppo secondario può evolvere in gruppo primario
La vita del gruppo Il gruppo attraversa diverse fasi di sviluppo 1. Formazione si forma il gruppo; fase di conoscenza tra i membri ; periodo di orientamento; influenza del leader 2. Conflitto emergono le divergenze; i membri devono negoziare, si forma una maggioranza in grado di persuadere tutti 3. Evoluzione emergono unità ed armonia; definizione di un’identità positiva;
4. Esecuzione del compito stadio esecutivo; standard di produttività 5. Conclusione e scioglimento alcuni gruppi si sciolgono perché hanno esaurito il loro ‘ciclo di vita’, altri si sciolgono perché hanno raggiunto gli obiettivi; il venir meno del gruppo porta a una ridefinizione dell’identità
COMPITI DEL GRUPPO Il gruppo ha tra i suoi obiettivi fondamentali : l’esecuzione di un compito e la realizzazione di obiettivi. Il compito può essere: • additivo: è la somma delle singole prestazioni dei membri del gruppo (es. spalare insieme la neve) • disgiunto: la prestazione del gruppo corrisponde alla prestazione del suo membro migliore (es. compito creativo) • congiunto: per la riuscita ciascun membro deve svolgere al meglio la propria parte (es. staffetta) • complesso: si articola in parti diverse con caratteristiche diverse e richiede organizzazione
Lo stereotipo è un modello fisso di conoscenza e di rappresentazione della realtà. La tendenza dell’uomo consiste nel classificare, nel dare un orientamento, nel controllare l’ambiente circostante e nel mantenere quest’ordine il più co-stante e protetto possibile. Una concezione orientata in questo senso è all’origine del concetto di stereotipo, concetto che ci aiuta a semplificare le differenze che incontriamo, per renderle più accettabili e affinché non siano causa di paura o preoccupazione. Questa tendenza di “categorizzazione” viene estesa inevitabilmente anche ai popoli, ai gruppi umani e alle persone; tipici esempi sono frasi quali: i musulmani sono tutti fanatici, le svedesi sono tutte bellissime, i meridionali sono tutti sfaticati ecc.
Esempi di stereotipi sono normalmente applicati al nostro modo di concepire e vivere la vita, stereotipi che ci vengono insegnati fin da bambini, come: le bimbe vestono in rosa e i maschi in azzurro, i bambini di paese sono meno colti di quelli di città, esistono lavori umili e lavori importanti ecc. Per comprendere la differenza tra stereotipi e pregiudizi viene normalmente utilizzata la frase: “lo stereotipo è l’anticamera del pregiudizio”
Il pregiudizio è una valutazione che precede l’esperienza un giudizio formulato prima di disporre dei dati necessari per conoscere e comprendere la realtà. Questa caratteristica del pregiudizio fa sì che esso sia potenzialmente sbagliato, poiché l’informazione risulta insufficiente. Un concetto e un giudizio errato sono sempre possibili, ma essi si trasformano in pregiudizio quando rimangono irreversibili nonostante nuovi dati conoscitivi! Dunque, l’ignoranza in un determinato campo porta al pregiudizio e spesso, nel caso di gruppi etnici, il pregiudizio porta al razzismo. Un’ulteriore differenza tra i due termini è dovuta al fatto che lo stereotipo è prevalentemente cognitivo, ovvero ci dice quale concezione le persone hanno di un determinato gruppo, mentre il pregiudizio è un vero e proprio atteggiamento.
Se vogliamo andare oltre gli stereotipi e i pregiudizi abbiamo una sola possibilità: conoscere e incontrare l’altro. Dobbiamo incontrarlo, ascoltarlo, capirlo e accettarlo. Non sempre saremo d’accordo con lui, non sempre riusciremo a comprendere fino in fondo il suo modo di pensare, ma se ci proveremo ci sentiremo più ricchi, più liberi e più felici
Psicologia di comunità La Psicologia di comunità costituisce un'area di studi, ricerche e interventi professionali che si focalizza sulle persone e i gruppi all'interno dei contesti socioculturali, economici, organizzativi e territoriali nei quali vivono e con i quali interagiscono continuamente. Settore applicativo nato "formalmente" nel 1965, dopo un convegno a Swampscott (nel New England, USA), è stato in realtà anticipato, nelle sue idee fondanti, da Alfred Adler, con le sue riflessioni sulle dimensioni sociali e comunitarie del disagio e dell'oggetto d'intervento dell'azione psicologica. L'interesse per la psicologia di comunità anche in Italia è di tipo pragmatico, mirato al miglioramento della qualità della vita e della competenza della comunità. La psicologia di comunità storicamente ha mirato a promuovere il benessere individuale, gruppale e collettivo, attraverso un'opera "emancipatoria" e di forte carica sociale, tipicamente caratterizzata da azioni finalizzate alla prevenzione del disagio e dalla promozione della salute ("salutogenesi"). Temi imprescindibili per l'operatore di comunità sono il saper entrare empaticamente in contatto con la persona ed i gruppi cui fornire aiuto, il concetto di Empowerment, l'attenzione alla dimensione psicosociale dell'intervento psicologico, la sensibilità alla dimensione culturale, e l'implementazione di tecniche di auto-mutuo aiuto.
Psicologia di comunità La Psicologia di comunità, sottolinea esplicitamente il fatto che molti dei problemi che le persone devono affrontare derivano non da dinamiche intrapsichiche, ma da fallimenti della comunità e dei suoi sistemi di interazione e di servizio al cittadino e che la prospettiva di aiutare le persone solo constatando e cercando di attenuare i loro disturbi rischia di mascherare i loro punti di forza e le loro competenze di auto-aiuto. Viene, quindi, messa in risalto l'esigenza di considerare congiuntamente le dimensioni personali e sociali dell'esperienza umana nel presupposto che i processi psicologici sono strettamente interconnessi con quelli sociali. In tal senso, la comunità e le interazioni sociali che la caratterizzano divengono sia lo schema di riferimento per comprendere «in situazione» i problemi, gli ostacoli allo sviluppo della persona e le vere e proprie patologie sia lo strumento col quale la stessa persona può trovare le opportunità, le risorse, i sostegni e le tutele per costruire il proprio benessere personale e collettivo.
Psicologia di comunità Questa doppia connotazione della comunità sociale (come possibile fonte del disagio psicosociale, ma anche come risorsa terapeutica) sostiene l'orientamento interventista della psicologia di comunità, soprattutto nella direzione della prevenzione e delle azioni di empowerment delle persone e della comunità. Si comprende allora come la Psicologia di comunità sia portatrice di una prospettiva valoriale di tipo emancipatorio che enfatizza i valori e la dignità della persona ad ogni livello sociale e sostiene con forza la rappresentazione di una società democratica e partecipativa, capace di esprimere, nei rapporti con i suoi membri e nei vari servizi resi, i principi di solidarietà, sussidiarietà, equità, giustizia sociale ed eguaglianza.
AMBITI DI RICERCA DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITA’ Gli ambiti di ricerca tipici della psicologia di comunità riguardano: natura e tipo di relazioni tra individui, gruppi e comunità (con specifico interesse sui sistemi sociali in cui esse sono inserite); analisi delle caratteristiche fisiche e psicosociali dei contesti di vita e individuazione dei rischi, dei problemi e delle risorse delle comunità nella prospettiva di costruire interventi psicosociali di tipo partecipativo; le problematiche della salute mentale e il disagio sociale e psichico secondo un'ottica di prevenzione oggi definita come «universale» ; le nuove forme di dipendenza sociale; la valutazione dei servizi e dei programmi di prevenzione; la valutazione dell'impatto sociale dei cambiamenti (sociali, ambientali, organizzativi, ecc. ); il significato e la funzione delle differenti forme di sostegno sociale (ad esempio, analisi delle reti sociali); i fattori di rischio psicosociale e la resilienza; il senso di comunità, i profili di comunità, la qualità della vita nelle comunità; la promozione delle varie forme di empowerment, compreso quello socio-politico; i requisiti e le condizioni per lo sviluppo di comunità competenti. Sul piano delle azioni professionali si sottolineano gli approcci metodologici di tipo partecipativo (ad esempio, la ricerca-azione e la community-based research).
AMBITI DI RICERCA DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITA’ Essi sono mirati a sollecitare le persone ad affrontare attivamente i problemi per evitare l'insorgere di situazioni critiche peggiori. A tal fine l'intervento psicosociale punta sull'incremento dell'efficacia delle strategie di coping anche mediante il riconoscimento, il reperimento o il potenziamento di risorse personali e sociali adeguate alla specifica situazione. Questa modalità di empowerment individuale e collettivo si concretizza in vari ambiti. Risulta particolarmente significativo l'intervento professionale in favore e a tutela di gruppi sociali ai margini della comunità o socialmente più vulnerabili (ad esempio, disoccupati, migranti, svantaggiati sociali, persone private dei diritti civili, gruppi di minoranza etnica o religiosa, anziani, ecc. ).
La psicologia culturale studia le regole adottate dall'uomo al fine di creare significati all'interno di contesti culturali. In altre parole, la psicologia culturale si pone l'obiettivo di verificare che la mente e la vita umana sono lo specchio della cultura (oltre che della storia e dei fenomeni biologici). Tale concetto è apparso abbastanza recentemente nell'ambito delle teorie psicologiche ed è soggetto a diverse interpretazioni. Due correnti principali sono comunque riconoscibili: la prima, di origine soprattutto statunitense, designa con questo termine lo studio delle differenze culturali nel comportamento psicologico (in questa accezione si preferisce però il termine "psicologia inter-culturale"); la seconda, prevalentemente di matrice europea, intende per "psicologia culturale" lo studio del rapporto di natura psicologica (quindi sia affettivo che cognitivo) che l'individuo elabora ed intrattiene con la propria cultura.
La psicologia culturale si impernia sul concetto di una inscindibile connessione tra i processi mentali e il complesso dei valori, dei significati, dei discorsi, delle pratiche e degli artefatti mediante i quali gli esseri umani empiricamente si relazionano con il mondo e tra essi. È soprattutto in Europa centrale che la psicologia culturale prende progressivamente forma come disciplina autonoma, distinta dalla psicologia interculturale e intesa come studio del rapporto tra l'individuo e la sua cultura. Già nel 1957 all'Università Cattolica di Nimega fu istituita una cattedra speciale in cultuurpsychologie e psicologia delle religioni, alla quale fu nominato l'illustre religioso e psicologo olandese Han Fortmann.
La psicologia culturale Il progetto di allora era però soprattutto di promuovere un approccio "scientifico" allo studio delle religioni, e la psicologia culturale mitteleuropea rimase a lungo assorbita dalle problematiche del vissuto religioso. Molto più tardi, grazie anche alla progressiva secolarizzazione degli incarichi accademici all'Università di Nimega, prese forma verso la metà degli anni novanta il Nijmegen Cultural Psychology Group, che contribuì a ricentrare la psicologia culturale sulla problematica dello sviluppo dell'identità quale nodo di articolazione tra cultura e individuo (cfr. Baerveldt & Verheggen, 1999; Leerssen & Corbey, 1991; Voestermans, 1999).
Salute l termine salute, a differenza della malattia, ha solo il singolare, ed è per questo che Bertini (2012) propone di utilizzare il termine Salute, rivendicando la necessità di considerare le molteplici sfaccettature con cui la salute si manifesta. A seconda delle definizioni accordate ai concetti di salute e malattia ne derivano poi diversi modi di intervento, tra cui la prevenzione della malattia o la promozione della salute, che possono essere rivolti sia al singolo che ai gruppi. Partendo da una definizione di Malattia essa può essere intesa come fenomeno reale e oggettivo che consiste sostanzialmente in un’alterazione del funzionamento corporeo, individuabile attraverso dei parametri oggettivi, le analisi. L’oggettività di un dato clinico non costituisce comunque una dimensione assoluta in quanto la soglia individuata dalla scienza medica per definire e distinguere ciò che è sano da ciò che è malato è un limite che si viene a modificare con le progressioni scientifiche.
Benessere Quello del Benessere è un concetto polisemico. Per lo sviluppo di tale concetto il contributi maggiori derivano da: - chi ha realizzato numerose indagini per determinare l’incidenza dei fattori demografici; - ricercatori che, indagando la salute mentale, hanno incluso la felicità e la soddisfazione per la vita come dimensioni in grado di descrivere la percezione e la valutazione che il soggetto attribuisce alla propria esistenza; - dalla psicologia della personalità e dalla psicologia sociale e cognitiva.
Attualmente la letteratura psicologica distingue tra: - Benessere Soggettivo: è la valutazione che i soggetti esprimono nei confronti della propria vita ed è costituito da una componente cognitiva che equivale alla soddisfazion e per la propria vita, e da un aspetto emozionale. Tra gli autori che hanno sviluppato degli studi a riguardo il principale è Diener; - Benessere Psicologico: descrive gli aspetti che contribuiscono a una salute mentale positiva, e non si intende come un’assenza di malessere. Tra gli studiosi che hanno contribuito a chiarire questo concetto è da ricordare ricordiamo la Ryff (1989), la quale perviene a un modello teorico e misurabile di benessere psicologico individuando sei dimensioni, tra cui l’autonomia, le relazioni positive, la crescita personale, l’accettazione di sé, lo scopo nella vita e il controllo ambientale. Limite del modello riguarda che queste dimensioni rappresentano i valori della classe media occidentale, per cui non sono generalizzabili;
Benessere Sociale: descrive il benessere di un soggetto situato in un contesto, si riferisce al tipo di relazione che il soggetto esperisce nei confronti della comunità più allargata. Keyes (1998) lo definisce come la valutazione delle proprie condizioni di vita e del proprio funzionamento nella società. Di esso sono state individuate cinque dimensioni, tra cui l’integrazione sociale, l’accettazione sociale, il contributo sociale, l’attualizzazione sociale e la coerenza sociale. Tutti e tre contribuiscono a sviluppare una riflessione che richiama la scienza psicologica allo studio di ciò che può concorrere a sviluppare il potenziale umano. Rispetto al Benessere Soggettivo, elemento più indagato negli ultimi anni anche grazie alle ricerche di Diener (che lo ha studiato dal 1984 a oggi), bisogna definire alcune Implicazioni Psicologiche e Sociali
Qualità della Vita Anche il concetto di Qualità della Vita , a seconda degli ambiti disciplinari e dei riferimenti epistemologici, assume delle sfumature differenti oppure viene assimilato ad altri termini. Sicuramente esso però non sinonimo di felicità o benessere. Nell’ambito della salute sono centinaia gli studi che descrivono la qualità della vita di soggetti portatori di una qualche patologia, con l’obiettivo di rilevare sia in che misura la malattia incida sul normale decorso del quotidiano e interferisca sull’autonomia delle persone, sia il modo in cui il soggetto si è adattato ad essa. E' inoltre necessario valutare quanto gli interventi sanitari concorrano allo sviluppo della qualità della vita, considerazione che deriva dalla prospettiva che critica il modello meccanicistico in medicina e ritiene fondamentale occuparsi anche degli aspetti psicologici e relazionali del soggetto. La qualità della vita riferita alla salute è definita tecnicamente Health-Related Quality of Life (HRQo. L) ed è il risultato delle relazioni tra diverse determinanti.
Ambiente: comprende ciclo della vita, prosperità economica, assistenza sanitaria, ambiente sociale e fisico e cultura; Qo. L Related: comprende manifestazioni e sintomi, status funzionale, percezione della salute e opportunità della salute; Individuo: comprende genetica e biologia, personalità e motivazioni, valori e preferenze e percezioni della salute.
La psicologia ambientale è una disciplina che studia il benessere e il comportamento umani prendendo in considerazione le transazioni che avvengono tra gli individui e l'ambiente socio-fisico. L'ambiente, in questa prospettiva, non viene considerato solo come l'insieme delle caratteristiche fisiche, ma soprattutto nella sua dimensione sociale e politica. La psicologia ambientale esplora le reazioni psicologiche degli individui agli ambienti fisici, siano essi naturali o artificiali. La psicologia ambientale può essere concepita come un approccio contestuale all'esame delle transazioni tra la persona e gli ambiti sociali. Più precisamente, essa analizza le caratteristiche generali degli ambiti sociali in cui si svolge la vita quotidiana, aspetti che possono essere trascurati in ricerche sperimentali che indagano situazioni e stimoli particolari, suscettibili di essere manipolati in laboratorio.
La psicologia ambientale, sin dalla sua nascita ha rivolto un notevole interesse verso lo studio della valutazione delle qualità ambientali. Tali studi hanno rivolto l'attenzione al modo in cui le caratteristiche percepite dell'ambiente intrattengano relazioni con la soddisfazione e il benessere dei fruitori, in termini di qualità percepita. Un esteso filone di ricerca si occupa della componente cognitiva (vedi psicologia cognitiva) della valutazione ambientale, ricollegandosi alla teoria degli schemi mentali, definibili come strutture cognitive caratterizzate da contenuti e processi dell'esperienza che mediano la percezione e l'elaborazione delle informazioni.
La psicologia ambientale Con lo svilupparsi della psicologia ambientale, i ricercatori si sono progressivamente allontanati dal concetto di setting nell'analizzare l'interazione tra il comportamento umano e l'ambiente, poiché questo costrutto risulta troppo incentrato su fattori sociali di tipo coercitivo, verso un olistico costrutto di luogo (maggiormente legato alla diversità individuale dei processi emotivi e cognitivi). Attraverso la concettualizzazione dell'ambiente in termini di costrutto di luogo, secondo la proposta di Canter, viene riconosciuta la centralità degli aspetti psicologici come regolatori del rapporto tra le persone e l 'ambiente socio-fisico, inteso in senso molare (vedi olismo) e non parcellizzato nelle sue singole componenti.
Attraverso questo costrutto, si assiste ad una riaffermazione del ruolo attivo ed intenzionale del comportamento umano nell'ambiente. Questa attività intenzionale si costruisce attorno alla funzione cognitiva; si assiste inoltre alla ricerca di una sistematica integrazione tra aspetti della cognizione e dell'emozione, con un livello d'analisi individuale e sociale, che il comportamento umano assume per sua stessa natura in relazione a variabili contestuali e ambientali. Dal punto vista disciplinare, mediante questa unità d'analisi integrata che è il costrutto di luogo, Canter propone un ponte capace di congiungere psicologia ambientale e psicologia sociale. In particolare egli sottolinea la necessità di relazione tra la prospettiva di luogo e i più recenti risvolti della psicologia sociale orientati in senso situazionista. Lo scopo diviene quello di collocare i fenomeni sociofisici entro una cornice interpretativa multidimensionale, che tenga conto delle variabili situazionali e contestuali proprie delle interazioni sociali.
La psicologia del Turismo La Psicologia del Turismo nasce nel 1984 quando al termine del XX Congresso nazionale degli psicologi della S. I. P. S. (Società Italiana di Psicologia, Bergamo settembre 1984) venne proposta una giornata di studio post-congressuale per discutere la possibilità di applicare la psicologia al comportamento turistico. Applicare cioè le competenze psicologiche al tempo libero, al viaggio, all’attività turistica, che andava sempre più estendendosi nel contesto nazionale grazie allo sviluppo economico degli anni Ottanta. Tale giornata di studio fu aperta ad esperti provenienti da molti settori, non solo a quello della psicologia, comprendendo economisti, esperti di marketing, medici, geografi, sociologi e antropologi, direttori di agenzie di viaggio e tour operator, al fine di cogliere ogni aspetto rilevante della vacanza e di ciò che rappresenta per l’individuo.
Al termine della giornata a San Pellegrino nasce il Comitato scientifico nazionale interdisciplinare “Psicologia del turismo”. “Il turismo è “un’area di convergenza e di confronto di fenomeni che riguardano l’uomo, le sue esigenze, le sue aspettative, l’economia di un paese e l’ecologia di un territorio, che implica problemi etici e legislativi, necessità formative e possibilità professionali”: con queste parole Marcello Cesa-Bianchi interveniva al IV Convegno di Psicologia e Turismo a Sangemini” (Maeran, 2004, Psicologia e Turismo).
l turismo è un fenomeno complesso, ma proprio la sua complessità offre alla psicologia un campo d’indagine proficuo; legati al concetto centrale di “turismo” vi sono una serie di elementi quali: • la motivazione • la scelta turistica • le funzioni della vacanza • la “customer satisfaction” • il marketing • il prodotto • l’impatto sociale e culturale del turismo • domanda/offerta/servizio • la qualità e i fattori critici di successo • la gestione delle risorse umane
L’Organizzazione mondiale del turismo (World Tourism Organization) nel 1997 definisce il turista come “chiunque viaggi in paesi diversi da quello in cui ha la residenza abituale, al di fuori del proprio ambiente quotidiano, per un periodo di almeno una notte ma non superiore ad un anno e il cui scopo principale della visita sia diverso dall’esercizio di ogni tipo d attività remunerata all’interno del paese visitato. In questo termine sono inclusi coloro che viaggiano per: svago, riposo e vacanza; per visitare amici e parenti; per motivi di affari e professionali; per motivi di salute , religiosi/pellegrinaggio o altro” (in Villamira, 2001)
LA MOTIVAZIONE TURISTICA Si parla di motivazione per indicare le forze sociopsicologiche inducono una persona a scegliere l’esperienza turistica o una determinata località. Per Dann (1981, 1983) la motivazione turistica può essere definita come uno stato mentale che stimola a viaggiare, dalla motivazione nasce la domanda. Seguendo le linee logiche delle teorie motivazionali l’individuo si trova a percepire un bisogno e quindi a mettere in atto la motivazione per ottenere ciò che lo farà sentire appagato; nel caso del fenomeno del turismo è compito del marketing quello di creare la consapevolezza del prodotto/servizio nella mente dei potenziali acquirenti suggerendo loro gli obiettivi per la gratificazione dei bisogni. Un’eventuale teoria motivazionale turistica dovrà essere dinamica, con prospettive e formulazioni flessibili per tener conto dei continui cambiamenti individuali e culturali.
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