DIRITTO DELLE PARI OPPORTUNITA E NON DISCRIMINAZIONE SA

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DIRITTO DELLE PARI OPPORTUNITA’ E NON DISCRIMINAZIONE SA a. a. 2017 -2018 PARTE SPECIALE

DIRITTO DELLE PARI OPPORTUNITA’ E NON DISCRIMINAZIONE SA a. a. 2017 -2018 PARTE SPECIALE LA LOTTA ALLA POVERTA’ Slide di ausilio allo studio individuale del testo di M. Ruotolo: La lotta alla povertà come dovere dei pubblici poteri

Per studiare il testo di M. Ruotolo dobbiamo richiamare alla nostra mente a) la

Per studiare il testo di M. Ruotolo dobbiamo richiamare alla nostra mente a) la nozione di eguaglianza nel nostro ordinamento: Art. 3 Cost. it. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

b) La visione del mercato che caratterizza il nostro ordinamento: una cosa buona, ma

b) La visione del mercato che caratterizza il nostro ordinamento: una cosa buona, ma che può comportare danni ai diritti fondamentali delle persone e alla coesione della società. ART. 41 cost. comma 2: La libertà di iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con la libertà la dignità e la sicurezza umana. NO!

c) La nozione di ‘diritti sociali’ che caratterizza il nostro ordinamento I diritti sociali

c) La nozione di ‘diritti sociali’ che caratterizza il nostro ordinamento I diritti sociali sono i diritti che proteggono le singole persone, e la società nel suo complesso, dalle pretese troppo invasive dell’economia di mercato che possono sacrificare il tempo stesso della vita e dai fallimenti dell’economia di mercato, che può creare povertà ed esclusione sociale. I diritti sociali sono per esempio: I diritti dei lavoratori a una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro e in ogni caso sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa Il diritto alle ferie (diritto al tempo libero dal lavoro salariato) Le provvidenze per gli inabili al lavoro Il diritto all’assistenza sanitaria Il diritto all’istruzione. I diritti sociali sono il cuore del ‘welfare state’, il quale è consapevole del fatto che: NO “Senza un sistema di protezione sociale la naturale instabilità del mercato è naturale instabilità della vita del lavoratore” (K. Marx, Il Capitale).

Nella nostra interpretazione costituzionale – Ruotolo ricorda, pp. 392 – tradizionalmente all’interno della nozione

Nella nostra interpretazione costituzionale – Ruotolo ricorda, pp. 392 – tradizionalmente all’interno della nozione di diritti sociali si distingue tra: • Diritti sociali originari o incondizionati • Diritti sociali derivati o condizionati I primi sono quelli di cui ciascuno è titolare direttamente in base alla Costituzione, per cui possono essere fatti valere direttamente in giudizio, come il diritto alla retribuzione. I secondi sono quelli di cui si è titolari solo quando il legislatore ha predisposto le misure per la loro attuazione, sicché l’estensione di questi diritti corrisponde a quanto è stabilito nella legge, es. il diritto all’assistenza e alla previdenza, o il diritto all’abitazione che studiamo nel testo di Olivito. Dalla previsione costituzionale dei diritti sociali ‘derivati o condizionati’ deriva comunque un obbligo per il legislatore di attuarli, e di garantirli almeno in una misura minima (cd. contenuto essenziale). Il problema affrontato nel testo è: Dalla presenza di diritti sociali nella nostra costituzione (cd. principio dello stato sociale) deriva un obbligo del legislatore di adottare politiche contro la povertà?

Che cos’ è la povertà? Ruotolo inizialmente indaga la nozione di povertà, ricordando la

Che cos’ è la povertà? Ruotolo inizialmente indaga la nozione di povertà, ricordando la povertà come scelta di libertà, propria del messaggio francescano, che però non significava non saper usare di alcuni beni (come la propria intelligenza, la capacità di scrivere, o quella di coltivare la terra) ma rappresentava la scelta di non appropriarsi in modo egoistico o utilitario né di quei beni, né dei loro frutti. Il confronto con l’ideale francescano serve a sottolineare due cose: a) oggi disponiamo di una sola nozione di povertà, la povertà subita; b) la povertà si presenta spesso come incapacitazione, cioè come mancanze delle capacità di usare beni essenziali della vita, a partire dalla propria intelligenza, per il benessere proprio e altrui. Si delinea quindi una nozione di povero che può includere chi possiede qualcosa – per esempio in Italia molti sono proprietari di una casa e ciononostante sono poveri – ma non possono o non sanno trarne un uso. Si noti che, oggi, non sono esclusi dalla concessione dei REIs coloro che siano proprietari di un immobile. La proprietà non esclude la povertà.

Chi sono i poveri, e come li si individua? Come si ‘quantifica’ il ‘problema

Chi sono i poveri, e come li si individua? Come si ‘quantifica’ il ‘problema povertà’. Assumendo una nozione di povertà come incapacitazione Ruotolo individua 4 categorie di poveri e 4 tipi di povertà: • • Povertà assoluta Povertà relativa Quasi povertà Esclusione sociale Me deriva che la povertà è una situazione complessa che, per essere individuata e quantificata, richiede l’elaborazione di indicatori multilivello. Studiando il testo, occorre assicurarsi di avere compreso e assimilato le definizioni corrispondenti (p. 397 -398).

A che cosa serve ‘definire’ i poveri, cioè sapere chi e quanti sono i

A che cosa serve ‘definire’ i poveri, cioè sapere chi e quanti sono i poveri? Individuare la povertà, cioè le situazioni di deprivazione, serve a individuare gli obiettivi cui dovrebbero tendere le politiche contro la povertà. Se sono indicatori di povertà non solo il reddito, ma anche la casa, la famiglia, l’alimentazione, la salute o il diritto alla giustizia (v. p. 399), le politiche contro la povertà dovrebbero rivolgersi a tutti questi obiettivi.

Misure universalistiche L’idea che viene proposta nel testo di Ruotolo è che la povertà

Misure universalistiche L’idea che viene proposta nel testo di Ruotolo è che la povertà dovrebbe essere affrontata con misure ‘universalistiche’. In Italia oggi la povertà o lo stato di bisogno viene affrontata con molte misure diverse, es. la pensione sociale per gli anziani che non hanno una pensione da lavoro; l’assegno sociale per i disabili, che viene erogato indipendentemente dal reddito, e altre misure. Il testo di Ruotolo, pubblicato nel 2011, dà conto della preferenza che è venuta maturando nei confronti della possibilità di sostituire tutte queste misure con un’unica misura di contrasto alla povertà, e di cui un primo segnale è il Reis introdotto nel 2017 che anche noi studiamo.

Misure contro la povertà per far correre l’economia? E’ interessante la nt 21 di

Misure contro la povertà per far correre l’economia? E’ interessante la nt 21 di pag. 400, dove si spiega che la misura universalistica rappresenterebbe un risparmio che permetterebbe di tradurre molti contributi economici , oggi erogati direttamente ai ‘poveri’ , in posti di lavoro. Per esempio, non dare più l’assegno di accompagnamento al singolo disabile, ma usare il denaro corrispondente per assumere lavoratori di servizio e di cura. Queste idee corrispondono a una idea di ‘monetarizzazione’ dell’assistenza? Oggi i 500 euro al mese che il disabile riceve possono rimanere in famiglia, perché il disabile viene aiutato da un familiare, e finire così per essere ‘risparmiati’, rappresentando denaro che non circola, non si trasforma in ‘consumo’. C’è forse un collegamento tra il successo delle ‘misure universalistiche’ contro la povertà e la ricetta capitalistica per cui tutto il denaro di cui ciascuno dispone dovrebbe essere messo in circolo, non ‘risparmiato’? Il denaro di cui una persona dispone è ‘suo’ solo transitoriamente, come momento di passaggio da un suo (del denaro) impiego ‘produttivo’ (cioè come consumo) a un altro? Si può pensare alla recente preferenza per i ‘bonus’ al posto di misure di integrazione al reddito: dare agli insegnanti anziché un aumento di stipendio un ‘bonus’ di 500 euro da spendere in spese culturali è un modo di assicurarsi che quei 500 euro anziché ‘arricchire’ la persona (il suo risparmio, come potrebbe accadere se essi fossero erogati come aumento di stipendio) torneranno ad ‘arricchire’ l’economia.

La povertà come problema costituzionale, le misure contro la povertà come diritti Ruotolo dedica

La povertà come problema costituzionale, le misure contro la povertà come diritti Ruotolo dedica alcune pagine a spiegare come l’aumento della povertà metta a rischio gli ideali di eguaglianza che sono alla base della nostra democrazia (e di ogni democrazia). Obiettivo della nostra Costituzione era una trasformazione della società verso una condizione in cui nessuno fosse escluso dal diritto a una esistenza degna. Il fatto che la Corte costituzionale abbia riconosciuto come competenza statale la garanzia dei ‘livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali’ (p. 403) indica che la garanzia di ‘un minimo vitale’ è oggetto di un vero e proprio diritto delle persone, che deve essere assicurato in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Ruotolo quindi critica la formulazione del provvedimento noto come ‘social card’ introdotto nel 2008, una forma di integrazione al reddito per ‘i residenti di cittadinanza italiana che versano in condizione di maggior disagio economico’. Il provvedimento che lo istituiva (l. 133/2008) diceva che la social card era ‘concessa’. Le misure contro la povertà non sono ‘graziose concessioni’, dice Ruotolo, non si tratta di ‘carità di stato’ ma di veri e propri diritti che nascono dalla scelta della nostra Costituzione di tutelare la persona umana.

Il crescente riconoscimento del ‘diritto a un minimo vitale’ Nelle pagine 405 -409 viene

Il crescente riconoscimento del ‘diritto a un minimo vitale’ Nelle pagine 405 -409 viene ricordato come i Tribunali costituzionali portoghese e tedesco abbiano già stabilito che garantire un minimo vitale dignitoso è un dovere dello Stato che discende dai principi di dignità umana e dello Stato sociale. La ‘GARANZIA DI UN MINIMO VITALE’ è ‘ un diritto fondamentale, rivolto ad assicurare le condizioni materiali indispensabili all’esistenza e un minimo di partecipazione alla vita sociale, culturale e politica’ (p. 408).

Come garantire il ‘minimo vitale’? Gli strumenti di lotta alla povertà possono esseri diversi.

Come garantire il ‘minimo vitale’? Gli strumenti di lotta alla povertà possono esseri diversi. Tra le MISURE DI CARATTERE ESCLUSIVAMENTE ECONOMICO FINANZIARIO rientrano: q Erogazione di sussidi all’occupazione q Erogazione di un ‘reddito di partecipazione’ q Erogazione di un ‘reddito minimo garantito’.

In particolare: l’idea del ‘reddito universale incondizionato’ L’idea del reddito universale incondizionato consiste nel

In particolare: l’idea del ‘reddito universale incondizionato’ L’idea del reddito universale incondizionato consiste nel garantire a tutti un minimo vitale mediante una erogazione monetaria, collegata o meno allo svolgimento di un lavoro, per esempio nella forma di ‘attività socialmente utili’. Secondo Ruotolo, questo tipo di misura non sarebbe ammissibile nel nostro ordinamento, perché il reddito universale non basterebbe a garantire la ‘soglia di mantenimento’ e dunque non allevierebbe le condizioni degli inabili al lavoro o delle persone sprovviste dei mezzi per vivere, dunque non potrebbe sostituire le provvidenze specifiche per queste categorie. Invece, non sarebbe una obiezione al reddito universale incondizionato il fatto che, secondo la nostra Costituzione, tutti hanno «il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» (art. 4 comma 2 Cost. ), perché questa disposizione non determina un ‘obbligo di lavorare’ (p. 411). Non solo, ma vi sono Autori (Dahrendorf, p. 413) secondo i quali il reddito minimo garantito è una condizione di libertà nella scelta del lavoro, un mezzo per ridurre il lavoro imposto e degradante dal quale alcuni non possono sottrarsi proprio perché troppo poveri.

Il reddito garantito come misura di re- inserimento al lavoro In teoria il reddito

Il reddito garantito come misura di re- inserimento al lavoro In teoria il reddito garantito può servire a rendere le persone più libere rispetto al lavoro : libere di svolgere cioè invece che un lavoro retribuito una ‘funzione’ socialmente utile (come il lavoro di cura nella famiglia), o libere di scegliere un lavoro più vicino alle loro preferenze e inclinazioni rispetto a quello che, in assenza del sostegno al reddito, sarebbero costrette ad accettare, e tutto questo corrisponderebbe perfettamente all’idea che del ‘lavoro’ ha la nostra Costituzione, non obbligo ma scelta, non solo lavoro salariato ma anche ‘funzione’ socialmente utile (art. 4 comma 2). Tuttavia, le forme di reddito garantito verso le quali ci si è orientati nel nostro paese, e verso le quali propende Ruotolo, sono quelle in cui il sostegno al reddito è collegato e finalizzato al re-inserimento al lavoro (p. 413) (nel Reis chi entra nel programma di sostegno sottoscrive un impegno a cercare attivamente lavoro in base a un ‘programma personalizzato di reinserimento’). Fin dal 1997, il modello italiano di sostegno al reddito ha scelto la vita di un a) Universalismo selettivo (misure rivolte solo a coloro che si trovano in determinate situazioni economiche, di cui la prova è l’Isee) b) Teso a stimolare il reinserimento lavorativo. Si trattava di proposte che, nel momento in cui il saggio di Rutolo veniva scritto, 2011, sembravano non avere prospettive di essere tradotte in pratica, nonostante apparissero in sintonia con le indicazioni europee (pp. 418) ma a cui si riallaccia il Reis introdotto nel 2017.

Il rischio delle politiche contro la povertà: punire i poveri? La parte conclusiva del

Il rischio delle politiche contro la povertà: punire i poveri? La parte conclusiva del saggio di Ruotolo ci avverte dei rischi di cui si deve essere consapevoli quando si prendono in considerazione le misure contro la povertà. Non bisogna dare per scontato che gli interventi contro la povertà siano dettati da spirito di solidarietà e da una visione emancipatoria della persona umana. La povertà può essere intesa come un problema di ordine pubblico: in un contesto dove la povertà cresce, i fenomeni di marginalità che ne derivano possono mettere a rischio la sicurezza dei benestanti: vi è il rischio che le carceri assolvano alla funzione di una ‘detenzione sociale’. (per i frequentanti: possiamo mettere in connessione questi timori con quelli suscitati dal ‘pacchetto sicurezza’ Minniti del 2017, di cui abbiamo parlato in uno dei nostri approfondimenti).

Ruotolo perciò conclude il suo saggio richiamandosi ai valori della Costituzione italiana. La lotta

Ruotolo perciò conclude il suo saggio richiamandosi ai valori della Costituzione italiana. La lotta alla povertà, a suo avviso, rientra nell’impegno per lo stato sociale. E’ proprio così?

Le considerazioni di Ruotolo sono condivisibili, ma alla sua idea di compatibilità tra le

Le considerazioni di Ruotolo sono condivisibili, ma alla sua idea di compatibilità tra le politiche di lotta alla povertà e l’impegno emancipatorio della nostra Costitutuzione si potrebbero opporre queste notazioni: • La nostra Costituzione non parla mai di ‘poveri’, semmai, come dice anche Ruotolo, di ‘lavoratori’. In conclusione del suo scritto Ruotolo dice che la parola ‘lavoratori’ nell’art 3 comma 2, che intendeva indicare i lavoratori dipendenti, le classi lavoratrici, oggi andrebbe intesa come rivolta a indicare ‘i non occupati, i gruppi sociali in stato di emarginazione’. • Nell’Inghilterra della rivoluzione industriale gli operai erano indicati come WORKING POOR; i poveri così indigenti da non potersi mantenere venivano fatti convivere nelle WORKHOUSE dove svolgevano lavoro coatto. • Nell’analisi marxiana del capitalismo – che i costituenti conoscevano benissimo - è centrale l’idea che il capitalismo riproduce se stesso e per farlo deve continuamente riprodurre il capitale umano, i working poor, se necessario costretti a lavorare.

La lotta alla povertà corrisponde davvero ai valori della Costituzione italiana? (continua) Il fatto

La lotta alla povertà corrisponde davvero ai valori della Costituzione italiana? (continua) Il fatto che la nostra Costituzione non parli mai di ‘poveri’ poteva indicare una scelta precisa: quella dello stato sociale, un sistema di vita non completamente retto dalle ‘leggi del capitale’ che vive dello sfruttamento di alcuni da parte di altri e dove dunque necessariamente ci sono ‘i poveri’ che sono coloro che lavorano, al più basso prezzo possibile. Per quanti sforzi si possano fare (come fa Ruotolo) per dimostrare che il nostro ordinamento contiene nel suo DNA le risorse per la lotta contro la povertà, il ritorno della parola ‘poveri’ nella descrizione della società e nell’elaborazione delle politiche forse segnala che il modello di società immaginato dalla Costituzione è stato ormai sostituito da un altro, in cui è normale che vi siano poveri e ricchi, e si tratta solo di ‘gestire’ la povertà in modo che a) non generi insicurezza (che le politiche contro la povertà siano in realtà politiche securitarie contro i poveri è un rischio di cui Ruotolo si rende conto, v. le pagg. 419 e 420) e a) Si traduca in profitto, ossia in maggiore offerta di lavoro a basso prezzo (cosa che spiega la scelta per legare le misure contro la povertà al lavoro ‘obbligatorio’ o alla ricerca di una occupazione, come avviene oggi col REIs). a) Generi politiche a loro volta generano circolazione di ricchezza (es. sostituendo le misure economiche di sostegno direttemente erogate ai beneficiari con ‘bonus’ di spesa o posti di lavoro).

Il reddito di base non corrisponderebbe meglio alle aspirazioni costituzionali? In realtà, non mancherebbero

Il reddito di base non corrisponderebbe meglio alle aspirazioni costituzionali? In realtà, non mancherebbero argomenti per dire che con le aspirazioni profonde della Costituzione italiana, che non sono quelle di permettere il libero dispiegamento del meccanismo capitalistico, ma di correggerlo e controbilanciarlo in nome della ‘dignità, libertà e sicurezza umana’ , si accorderebbe molto bene proprio l’idea di un reddito di base incondizionato. Questo diritto metterebbe in discussione un caposaldo delle democrazie fondate sul liberalismo economico, e cioè che vendere la propria forza lavoro sia per ciascuno un diritto e una libertà, laddove può essere inteso come un gesto di subordinazione.

Secondo la filosofa politica americana Carole Pateman la ‘libertà della scelta del lavoro’ nasconde

Secondo la filosofa politica americana Carole Pateman la ‘libertà della scelta del lavoro’ nasconde in realtà il ‘commercio della forza lavoro’ e sottomette la vita umana alle esigenze del capitale: «Quando degli individui decidono volontariamente di sottoscrivere un contratto di lavoro hanno esercitato una loro libertà, ma la conseguenza, nel caso di lavoratori e del contratto di impiego, è la loro incorporazione alla stregua di subordinati. Concentrarsi sull’atto di sottoscrive, lasciando in ombra le conseguenze, permette di separare senza ambiguità il lavoro salariato dal lavoro servile e di iscrivere senza problemi l’istituto dell’impiego in un ordinamento democratico. La riforma del Welfare viene dunque dettata nel senso che tutti gli adulti nelle loro piene capacità devono essere impiegati, vale a dire che l’impiego deve essere universale» (cioè, secondo il ragionamento di Pateman, deve essere universale la sottomissione della vita umana alle esigenze del capitale).

 «Un reddito di base è cruciale per istituire e mantenere una autonomia individuale

«Un reddito di base è cruciale per istituire e mantenere una autonomia individuale perché offre la base necessaria alla partecipazione sociale, alla stabilità in quanto cittadini e cittadine e alla sua affermazione simbolica. Il diritto al reddito è analogo al diritto di voto – un diritto democratico di tutti i cittadini. Oggi il diritto di voto è promosso su scala globale, e ciò che un tempo era un privilegio di pochi è diventato un diritto universale. La sussistenza, per contro, non è considerata un diritto universale: è ancora un privilegio o materia di carità. La concezione dominante dell’impiego, rimasta pesantemente compromessa con la prospettiva aperta dalla Legge sulla povertà del XIX secolo, che inaugurò la costruzione del mercato nazionale del lavoro in Inghilterra. I provvedimenti contro la povertà sono costantemente sulle agende governative, ma le persone povere sono tenute a provare che ‘meritano’ di vivere una vita degna rientrando nei parametri previsti dai provvedimenti pubblici. Un reddito di base universale non è l’ennesima misura per alleviare situazioni di povertà, bensì contribuisce (potenzialmente) a una trasformazione democratica che crei una cittadinanza di uguali valida per ciascuno e ciascuna. Un reddito di base è la strada più semplice così che chiunque possa godere di una autonomia individuale. Lo è, se non impone alcuna condizione ai destinatari. L’istanza che prevede di imporre condizioni ai sussidi statali o che gli individui si sottomettano (volontariamente) a una struttura autoritaria non democratica per ottenere tali sussidi è in contrasto con una cittadinanza democratica e non trova posto in un mondo caratterizzato dal benessere. » Carole Pateman, Il contratto sessuale venticinque anni dopo, 2013. )

Si deve dunque considerare questa ipotesi: Non è perché ‘economicamente insostenibile’ ma per la

Si deve dunque considerare questa ipotesi: Non è perché ‘economicamente insostenibile’ ma per la sua valenza di critica al modello capitalistico che il reddito universale incondizionato non viene esplorato: la lotta alla povertà viene così condotta escludendo di esplorare «alternative all’impiego quale modo di organizzare la produzione di beni e servizi» (Pateman) cioè in modo funzionale alle compatibilità e ai desiderata del sistema di produzione capitalistico.

…E le donne?

…E le donne?

Un’altra caratteristica dell’analisi di Ruotolo, come di molti discorsi condotti intorno al tema del

Un’altra caratteristica dell’analisi di Ruotolo, come di molti discorsi condotti intorno al tema del reddito di base, è di essere svolto in una prospettiva neutra, che non tiene conto di se e come il reddito di base si ripercuoterebbe diversamente per uomini e donne. Invece, collegare il reddito di base a una prospettiva che tiene conto delle differenze tra uomini e donne, può aprire spiragli significativi, anche sul dibattito sul se costituire o meno il reddito di base come un reddito universale incondizionato. Leggiamo alcuni stralci di una intervista di Roberta Morini a Philippe Van Parijus, apparsa sul sito La 27 Ora nel novembre 2017. Van Parijs è un filosofo, un economista, e probabilmente il più autorevole teorico contemporaneo del “reddito di base”. Ha pubblicato Il reddito di base. Una proposta radicale, insieme al politologo Yannick Vanderborght, tradotto in Italia nel 2017.

Con il termine “reddito di base” si intende, seguendo la definizione di Van Parijs

Con il termine “reddito di base” si intende, seguendo la definizione di Van Parijs e Vanderborght stessi, «un reddito versato da una comunità politica a tutti i suoi membri su base individuale senza controllo delle risorse né esigenza di contropartite» . Nel nostro paese è da molti anni oggetto di un largo dibattito, anche in ambiti femministi, ed è stato recentemente rilanciato dal movimento Non Una di meno che lo ha inserito in un “piano antiviolenza”. Viene inteso come strumento per favorire la sicurezza e l’inclusione sociale delle donne e per rafforzare le possibilità di scelta, cosicché si è chiamato “reddito di autodeterminazione”. Ma che legame esiste tra reddito di base e libertà delle donne? Risposta di Van Parijs: «L’introduzione di un reddito di base avrebbero innanzitutto l’effetto di una redistribuzione di ricchezza. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro è in media inferiore a quella degli uomini così come è più basso il salario e sono inferiori gli introiti da redditi da capitale, cioè da rendite finanziarie. Riconoscere un reddito di base vuole dire riconoscere a tutti, uomini e donne, la stessa somma di denaro. E poiché il reddito va finanziato attraverso forme di tassazione sui redditi da lavoro e i redditi da capitale saranno gli uomini, in proporzione, a contribuire in misura maggiore alla sostenibilità di un reddito individuale, uguale per tutti. Si tratta insomma di una misura che consente un trasferimento di ricchezza, in senso equo ed etico, da chi ha di più (gli uomini) a chi ha di meno (le donne). Naturalmente non è solo questione di redistribuzione di risorse economiche ma di opportunità e di opzioni, di possibilità di scelta e di libertà, come dicevamo prima. Tuttavia è un passaggio necessario

Lei stesso ammette che la partecipazione al mercato del lavoro delle donne è tutt’ora

Lei stesso ammette che la partecipazione al mercato del lavoro delle donne è tutt’ora ridotta: l’introduzione di un reddito di base non rischierebbe di disincentivare ulteriormente il lavoro femminile, ampliando i divari tra uomo e donna? «L’eventuale riduzione di lavori femminili poco pagati, di bassa qualità, oppure erogati in condizioni pesanti, per questioni legate alla distanza dal luogo di lavoro o ad orari difficili, potrebbe spingere verso l’aumento dei salari e l’incremento della qualità di tali lavori. Dunque, sortirebbe il risultato di rendere più appetibile l’offerta di lavoro, non di frenarla» .

Eppure, una parte del femminismo nutre dubbi sul tema del reddito di base, paventando

Eppure, una parte del femminismo nutre dubbi sul tema del reddito di base, paventando un ritorno delle donne tra le mura domestiche… «Potremmo trovarci di fronte a interruzioni del lavoro che non assumono una forma definitiva, ma sono transitorie, durano alcuni anni, in relazione a determinate fasi della vita. Ma il punto vero è: chi siamo noi, uomini e donne ben pagati, con lavori interessanti, per poter dire che tutte vanno obbligate a un lavoro povero di contenuti e mal pagato, conducendo una vita spesso impossibile? Tutte e tutti vanno messi nelle condizioni di poter decidere riguardo la propria vita. Perché non ci scandalizziamo sapendo quanto poco viene pagata una donna che pulisce gli uffici, ma poi riteniamo scandaloso che stia a casa perché le viene garantito un reddito? » .

Forse il problema è costruire un diverso ethos del lavoro, un diverso ordine di

Forse il problema è costruire un diverso ethos del lavoro, un diverso ordine di valore. Il reddito di base potrebbe liberare tempo per occupazioni attualmente non riconosciute ma socialmente importanti? «Assolutamente. Mi domandano sempre se, con il reddito di base, la gente non finirebbe per passare il tempo a prendere il sole. La domanda va invertita ed è: che cosa farebbe una donna con un lavoro umile e poco pagato, grazie al reddito di base? Probabilmente non sarebbe nelle condizioni di lasciare completamente il lavoro ma forse potrebbe ridurre il tempo di tale impegno per fare moltissime altre cose, studiare, fare volontariato, creando comunque ricchezza in un senso più largo, e in molti casi più utile, per l’intera società e anche per l’economia» .

E allora forse è la misura del denaro a essere stretta. Dobbiamo sottrarre al

E allora forse è la misura del denaro a essere stretta. Dobbiamo sottrarre al denaro il suo ruolo di indicatore quasi esclusivo del valore sociale e di conseguenza di veicolo principale di accesso alla comunità? «Negli anni Settanta, in Italia, il femminismo italiano ha avanzato la proposta di un “salario al lavoro domestico”. Nel tempo, ho discusso di questo anche con la filosofa tedesca Angelika Krebs che ha scritto un articolo Why mothers shoud be fed e poi con Chiara Saraceno. Si tratta di uno strumento pensato per riconoscere alle donne il valore del lavoro svolto, eppure temo che sortirebbe l’effetto di rinforzare la divisione dei ruoli, una scusa per i mariti, “ehi, sei pagata per questo, tocca a te”, all’interno di una condizione che resta di dipendenza. Inoltre, un reddito inadeguato, direttamente collegato al lavoro di cura, può generare una sorta di svalorizzazione, sminuendo simbolicamente il valore sociale del compito. Dal mio punto di vista, insomma, questo è un esempio di scambio monetario che può diventare una trappola. Meglio allora l’istituto degli assegni familiari, da darsi alla madre, e meglio ancora un reddito di base universale che valga per tutti, anche per coloro che non hanno figli. Meglio un reddito di autodeterminazione non legato al ruolo di casalinga, ma alla persona. Certo, il riconoscimento sociale non può mai essere solo monetario, giuridico, organizzato dallo stato. In generale, è evidente che gli aspetti rilevanti della vita non possono essere compensati con la sola misura del salario» .

Nella sua idea la cifra da corrispondere per il reddito di base è limitata,

Nella sua idea la cifra da corrispondere per il reddito di base è limitata, purché universale. Che cosa significa? «Ritengo che il reddito di base debba avere un carattere universale e di conseguenza incondizionato. Se tutte e tutti hanno diritto a un reddito, qualsiasi fattore di divisione e di discriminazione (anche quello basato sulla prova dei mezzi, means test) viene a cadere e ne favorisce l’accettazione, proprio perché tutte e tutti possono accedervi. Ne consegue che se il reddito di base è una quota della ricchezza sociale prodotta, l’acceso universale può realizzarsi solo se il suo livello è compatibile con tale ricchezza prodotta. In una prima fase penso a una cifra modesta. Il reddito di base non è un sussidio di disoccupazione ma uno strumento per rafforzare nella ricerca di lavoro, consentendo di reagire ai ricatti, e di scegliere. A tale misura si aggiungono misure di Welfare diretto e indiretto che già sono operanti a livello sociale. È insomma una proposta concreta per una società più libera e tutt’altro che passiva » .

In sintesi…. Da un punto di vista che tiene presente le differenze tra uomini

In sintesi…. Da un punto di vista che tiene presente le differenze tra uomini e donne dunque un reddito di base incondizionato potrebbe: a) Rappresentare una redistribuzione di ricchezza (non solo materiale, monetaria, ma anche di opzioni e opportunità) dagli uomini alle donne; b) Potrebbe aprire alle donne opzioni molto migliori rispetto a quei lavori spesso poveri di contenuto e mal pagati che sono ciò che in sostanza offre loro l’imperativo mistificante che dice loro che basta ‘uscire dalle mura domestiche’ per essere ‘libere’ c) A differenza del pagamento per il lavoro casalingo non lega le donne a un ruolo ‘di genere’ ma dà loro la possibilità di aprirsi ad attività come studiare e crescere intellettualmente che sono la sostanza della libertà personale.

La tendenza che dice no al reddito di base universale e incondizionato si spiega

La tendenza che dice no al reddito di base universale e incondizionato si spiega dunque, da una parte, con l’intento di difendere le premesse del modo capitalistico di produzione e, dall’altra parte, con una volontà di prendere poco sul serio il valore di una esistenza femminile più libera? La discussione è aperta: il nostro percorso ci ha permesso di metterne meglio a fuoco alcune componenti.

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