Corso di Tecnica Bancaria Cagliari 2018 Fabrizio Crespi
Corso di Tecnica Bancaria (Cagliari - 2018) Fabrizio Crespi, Università Cattolica e Università di Cagliari fabrizio. crespi@unicatt. it https: //twitter. com/fabriziocrespi 1 https: //www. facebook. com/contemplata. it www. contemplata. it 1
I prestiti e la gestione del rischio di credito a livello di portafoglio 2
I prestiti bancari e l’efficienza allocativa Le ragioni della centralità dei prestiti nell’attività bancaria vanno ricercate nelle seguenti circostanze. 1 I prestiti bancari costituiscono la principale e più importante fonte di copertura del fabbisogno finanziario esterno delle imprese; questa fonte, per sua natura, è di rapido accesso e, soprattutto, è flessibile (contratti di prestito non standardizzat) 2 I prestiti sono il tramite più efficace per l’avvio delle “relazioni di clientela” dalla cui intensificazione dipendono, fra l’altro, anche le opportunità di sviluppo delle dimensioni di una banca (moltiplicatore dei depositi) e della sua attività di intermediazione. Alimentano sia il margine di interesse che quello di intermediazione (sempre più spesso i prestiti rappresentano il materiale sottostante ai processi di cartolarizzazione) 3 I prestiti rappresentano l’elemento fondamentale che giustifica, in generale, l’esistenza degli intermediari. Una parte del finanziamento esterno delle imprese non può che essere assicurata da quegli intermediari che garantiscono una informazione di tipo riservato 3
Ø Il problema fondamentale dell’attività di prestito è duplice: da un lato, valutare la capacità di rimborso del singolo debitore (dunque il rischio associato alla singola operazione che può trasformarsi in perdita per la banca); dall’altro realizzare la migliore combinazione possibile di operazioni, tenendo conto della relazione rischio – rendimento di ciascuna di esse. Ø Questi due elementi definiscono i due aspetti fondamentali dell’attività di prestito di una banca: La valutazione del rischio della singola operazione (selezione dei prestiti) La costruzione del portafoglio prestiti nel suo complesso (politica dei prestiti), composta a sua volta dalla decisione sulla dimensione del portafoglio e dalla distribuzione al suo interno fra le singole operazioni (aspetti della diversificazione, della ripartizione e del frazionamento dei fidi). 4
Il rischio di credito: gli strumenti di analisi • L’attività di prestito espone la banca a rischi di perdita – parziale o totale – del capitale prestato in caso di insolvenza definitiva del debitore (rischio economico) o costi finanziari dovuti a tensioni impreviste nella gestione della liquidità, a seguito di ritardi nei pagamenti di capitale o interessi alle scadenze convenute (rischio finanziario). • La congiunzione tra rischio economico e rischio finanziario concorre a determinare la qualità dei prestiti, secondo una scala che in ordine decrescente comprende prestiti vivi, partite incagliate, sofferenze e dubbi esiti. • Rispetto alla valutazione, assunzione e gestione del rischio cinque sono le fasi nelle quali avviene l’elaborazione, da parte della banca, delle opportune informazioni: 5
Il rischio di credito: gli strumenti di analisi Selezione delle iniziative da finanziare (definizione del rating interno) Decisione di affidamento e scelta della struttura tecnica Definizione del tasso. Il tasso praticato viene definito in base al rischio sopportato (rating assegnato), della redditività attesa sul capitale di rischio assorbito dal prestito, nonché dei costi finanziari e operativi connessi all’operazione; Gestione e monitoraggio (ovvero controllo e revisione periodica dei rapporti); Gestione di portafoglio La prima fase della valutazione del rischio coincide in larga misura con la tradizionale istruttoria di fido. L’assegnazione di un rating sintetizza il rischio percepito dalla banca 6
La valutazione del rischio è sostanzialmente un problema di trattamento delle informazioni disponibili e va a costituire il nucleo centrale del criterio di valutazione dei fidi adottato da ciascuna banca, il quale si esplica nelle due seguenti fasi: Screening Prima della concessione del prestito viene effettuata la selezione della domande di credito da soddisfare Monitoring Durante la vita del prestito, consiste nell’azione di sorveglianza che accompagna il prestito stesso Il rischio del singolo prestito, una volta valutato ed assunto, può essere gestito; si può cioè decidere se mantenerlo, perché si integra efficacemente col portafoglio prestiti posseduto, o trasferirlo (con la securitisation o col ricorso ai credit derivatives) qualora le sue caratteristiche non coincidano con le combinazioni rischio-rendimento desiderate. 7
La quantità e la qualità delle informazioni disponibili dipendono ovviamente: 1) da molti fattori di natura istituzionale (l’attendibilità dell’informazione contabile disponibile; la disponibilità dell’impresa a fornire informazioni di tipo riservato, la capacità della banca di produrre informazioni interne, la possibilità di consultare database informatici - come quello della Centrale Rischi - per rilevare l’esposizione debitoria del richiedente verso il sistema), 2) dalle modalità specifiche assume il rapporto banca-impresa e dall’intensità del rapporto di clientela che lega la seconda alla prima. Le relazioni di clientela (customer relationship) indicano l’esistenza di un rapporto d’affari tra banca e cliente dal quale prende avvio uno scambio intenso e completo che si estendende ad una molteplicità di servizi bancari. Si possono così realizzare numerosi benefici per i contraenti, fra i quali i più importanti sono la stabilizzazione del costo dei finanziamenti per l’impresa e l’accesso alle informazioni riservate per la banca; questi benefici, infine, possono trasformarsi in altrettanti incentivi affinché il rapporto permanga nel tempo e si estenda a tutti i servizi possibili. (concetto di relationship banking) 8
La composizione del portafoglio prestiti In generale la composizione del portafoglio prestiti può avvenire secondo: n la categoria di aziende beneficiarie n la forma tecnica n la scadenza e la denominazione dell’unità di conto La composizione del portafoglio prestiti dipende dalle scelte aziendali in relazione, da un lato, alle dimensione e alla struttura organizzativa della banca, dall’altro lato, alle caratteristiche della domanda di credito espressa dai mercati in cui la banca opera 9
La gestione del rischio a livello di portafoglio Il rischio di ciascun credito deve essere valutato assieme a quello degli altri crediti erogati ed è individuabile nel contributo marginale del nuovo credito al rischio complessivo del portafoglio. Rischio complessivo di portafoglio Non dipende soltanto dal rischio di insolvenza di ciascun debitore considerato isolatamente, ma anche dalla misura in cui la capacità di rimborso di ognuno di essi è influenzata dall’andamento economico generale, ovvero dalla misura in cui la solvibilità di ogni debitore è correlata con quella degli altri. Anzi, al crescere del frazionamento dei rischi, si dimostra che la componente importante è solo la correlazione tra le capacità di rimborso dei debitori 10
Ø Pertanto un portafoglio di prestiti tende ad avere rendimenti più stabili (meno variabili) di quelli di ciascun prestito considerato singolarmente. Ø La ragione di questo risultato sta nel fatto che le capacità di rimborso dei differenti prenditori sono influenzate in maniera differente dai medesimi “eventi”. Ø Pertanto la valutazione delle nuove operazioni dovrebbe concentrarsi sul rischio marginale della singola operazione, cioè sul rischio addizionale che il finanziamento genera per il portafoglio prestiti della banca. 11
Ø Sfortunatamente la misurazione dei coefficienti di correlazione tra i singoli prestiti pone problemi metodologici e pratici non ancora del tutto risolti. Pur non essendo possibile l’esatta quantificazione del rischio sistematico di ciascuna operazione, la banca dispone ugualmente di regole di comportamento utili a ridurre il rischio del proprio portafoglio prestiti. Ø A tale processo si fa riferimento nella dottrina aziendale con il termine di frazionamento del rischio. Il frazionamento del rischio a livello di portafoglio avviene con riferimento alle seguenti quattro direttrici: Per classi di importo dei fidi Diversificazione Per settori industriali di appartenenza degli affidati Geografica delle operazioni Per forme tecniche delle operazioni 12
Tipologie di prestiti n n I prestiti per cassa e a breve termine q Apertura di credito in c/c q Smobilizzo su crediti q Anticipazione su pegno q Operazioni su titoli finanziari I crediti di firma I prestiti alle famiglie q Mutui ipotecari q Credito al consumo Prestiti a medio lungo termine q Il mutuo q Il leasing q I prestiti in pool 13
Il Rischio di credito n Una prima accezione (restrittiva) di rischio di credito riguarda la possibilità che la controparte (la famiglia o l’impresa alla quale ho erogato il prestito) non adempia alle proprie obbligazioni n Una seconda accezione (più ampia) inserisce nella fattispecie del rischio di credito anche il peggioramento del merito creditizio n In quest’ultimo caso il peggioramento del merito creditizio avviene quando il rapporto è già in essere (ad esempio downgrade di un’impresa alla quale ho prestato dei soldi. In altri casi, tipo per i piccoli prestiti, non esiste un ente terzo che definisce questa condizione di «peggioramento del merito creditizio» , quindi dovrebbe essere la banca stessa a valutare/verificare lo status dei soggetti) n Un tentativo in questo senso è stato fatto, attraverso il comitato di Basilea, con l’approccio dei rating interni (Internal Rating Based) attraverso il quale si ponderano (pesano) i rischi (di credito) presenti all’interno della banca 14
In un’accezione ancora più ampia (che più ampia non si può!) n n n Default e migration risk (vedi slide precendente) Rischio di un evento inaspettato; Rischio legato a partite off-balance (esempio garanzie, derivati non contabilizzati per quanto riguarda il rischio di settlement); Come faccio a determinare il prezzo di un’attività illiquida e non quotata sul mercato? 15
All’interno del rischio di credito Rischio di default (insolvenza del cliente) e di migrazione, ovvero peggioramento del merito creditizio della controparte (perdita attesa); n Rischio di un evento inatteso, o non calcolabile a priori (perdita inattesa); n Rischio dovuto ad un esposizione creditizia, ovvero associato alle operazioni «fuori bilancio» (off-balance-sheet operation): garanzie, fideiussioni (in passato anche i derivati) n 16
Il rischio di insolvenza n Risponde ad una accezione più restrittiva del rischio di credito n Per stimare il il rischio di insolvenza con un approccio interno bisogna stimare: n q PD= Probability of Default. Ovvero la probabilità che il creditore non sia in grado (integralmente) di far fronte alle obbligazioni q LGD= Loss Given Default. La perdita che la banca subirà al termine delle procedure di recupero del credito q EAD= Exposure at Default. Ovvero, nel momento in cui si verifica il default quale era l’esposizione della banca Siccome si tratta di grandezze stimate il risultato rappresenterà il valore atteso che la banca dovrà trovarsi a gestire n L’aspetto più critico e più problematico non riguarda tanto il valore atteso (perché di questo la banca ne è consapevole) ma la sua variabilità, ovvero la tendenza di questo valore (variabile aleatoria) ad assumere valori diversi rispetto a quello atteso 17
Stima della Perdita Attesa e la PD La stima della perdita attesa: Perdita Attesa= PD*LGD*EAD Come si stimano le diverse componenti? n PD n Soggettiva, ovvero sul giudizio qualitativo più che quantitativo del soggetto (per grandi prestiti di solito) q Statistical, come ad esempio lo scoring (diffuso, anche se non in modo univoco) per il credito la consumo q Ibrido rispetto ai due precedenti approcci q 18
LGD n n n Complicata da stimare in quanto, a seconda dei casi, si riferisce al valore del soggetto prenditore dei fondi nel momento del default Ad esempio, nel caso di un’impresa inadempiente, la Loss Given Default si riferirà al valore che residua dalle procedure di riscossione del credito ( e quindi al valore dell’impresa non al momento dell’erogazione del prestito, ma nel momento di default) Questo valore può essere calcolato in modo più agevole qualora la controparte sia quotata e/o qualora siano quotate sia le attività sia le passività 19
EAD n n n Nel caso di prestiti a media lunga scadenza si evince dal piano dei pagamenti a patto che si riesca a definire M (Maturity) ovvero quando si verifica la condizione di default Quindi, in sostanza, la EAD dipende molto dalla forma tecnica dell’esposizione Approcci statistici vengono applicati nel credito al consumo rivolto alle famiglie 20
Rischio Paese e rischio di credito n n Il più delle volte la condizione di peggioramento del merito creditizio o di default è dettata da condizioni, di tipo soggettivo, legata al prenditore di fondi Ad esempio, nel caso di un’impresa, all’andamento economico dell’azienda o piuttosto che a questioni legate all’equilibrio finanziario della stessa Quando un’impresa opera sul mercato estero la condizione di default potrebbe essere determinata non da fattori endogeni ma esogeni. Ad esempio una condizione legata al rischio del paese nel quale opera (politico, macroeconomico, etc. ) In questo caso si fa ricorso a strumenti derivati specifici appartenenti alla categoria dei CDS 21
E la perdita inattesa? Rappresenta il vero rischio di credito n A livello di portafoglio, mentre la perdita attesa è data dalla somma delle perdite attese sui singoli prestiti; la variabilità della perdita più attesa è più bassa della somma della variabilità dei singoli prestiti n Deve essere coperta dal capitale di rischio, perché rappresenta il vero rischio d’impresa. n Si gestisce, come il rischio di mercato, attraverso modelli Va. R n 22
Da Basilea 1 a Basilea 2 23 23
Le banche e i rischi n Una certa quantità di rischio è un tratto caratteristico e positivo delle banche e delle altre istituzioni finanziarie n Si pensi, ad esempio, al rischio implicito nella attività di trasformazione delle scadenze: le banche normalmente raccolgono fondi con depositi a vista o a brevissimo termine e li investono anche in prestiti alle imprese a medio lungo termine e a tasso fisso, destinati al finanziamento di progetti pluriennali n Ciò chiaramente le espone al rischio che i depositi vengano prelevati prima della scadenza dei corrispondenti prestiti (rischio di liquidità) o che il loro costo aumenti mentre il rendimento degli impieghi è prefissato (rischio di tasso di interesse) n Oppure si pensi ai finanziamenti erogati a favore di società e privati, che sono soggetti a un certo tasso di insolvenza (rischio di credito) 24 24
n Si tratta di una attività consistente e redditizia, ma che può portare alla perdita del capitale prestato, senza che questo ovviamente esima la banca dal restituire al pubblico i fondi con cui i prestiti erano stati finanziati n Un altro esempio riguarda l’attività di negoziazione in titoli, valute, merci, strumenti derivati: si tratta di beni e contratti il cui valore può ridursi in misura considerevole nel giro di poche ore (rischio di mercato) producendo considerevoli minusvalenze per la banca che li detiene in portafoglio n E’ dunque normale che l’attività di intermediazione finanziaria implichi l’assunzione di rischi. n Di conseguenza, una banca correttamente gestita non è quella che evita i rischi o che li riduce al minimo, ma, piuttosto, quella che riesce ad assumere rischi in modo equilibrato, premiando l’investimento degli azionisti e insieme evitando di mettere a repentaglio la propria stabilità e quella del sistema finanziario in cui opera 25 25
n A tal fine è necessario che le perdite eventualmente originate dai rischi a cui la banca è esposta trovino capienza nel capitale messo a disposizione dagli azionisti, così che non vengano intaccati i diritti dei terzi finanziatori n In altre parole, se una banca sa di essere verosimilmente esposta al rischio di una perdita di 100 milioni di euro, non può operare con un patrimonio pari a 80 milioni di euro, perché se la perdita dovesse davvero realizzarsi, il capitale degli azionisti non sarebbe sufficiente e non risulterebbe possibile rimborsare i depositi, obbligazioni o altre passività per 20 milioni di euro. n D’altra parte, anche un patrimonio troppo consistente sarebbe inutilmente elevato e costringerebbe gli azionisti a mantenere immobilizzate nella banca risorse che potrebbero essere impiegato in maniera più profittevole altrove 26 26
n Affinché il capitale di una banca sia proporzionato ai rischi è dunque necessario: Ø censire e misurare i rischi in essere, arrivando a quantificare le possibile perdite future a essi associate Ø garantire che il capitale sia adeguato a sopportare le perdite, anche alla luce della prevedibile evoluzione dei volumi intermediati e dei rischi 27 27
Il Comitato di Basilea n Ricordiamo che l’attività di misurazione dei rischi e di gestione del capitale ha ricevuto, negli ultimi vent’anni, un fortissimo impulso da parte del comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria. n Il Comitato non dispone di alcun potere legislativo o autorità sopranazionale; le sue proposte non hanno dunque valore legale. n Il suo compito è quello di definire linee guida e raccomandazioni che vengono poi di norma recepite dalle autorità politiche e di vigilanza (ad esempio, Basilea 2 è stato trasformato in legge dalla Commissione e dal Parlamento dell’Unione Europea) 28
Le principali tipologie di rischio Rischi Mercato Liquidità Tasso Credito Default Cambio Downgrading Interesse Recupero Azionario Esposizione Merci Concentrazione Volatilità Altri Operativi Strategico Reputazionale 29 29
Il ruolo del patrimonio nelle banche secondo gli accordi di Basilea 1 Ø 1988 = primo incontro tra rappresentanti delle autorità di vigilanza del G 10 Ø Viene stabilito requisito di capitale minimo per rischio di credito Ø Principio sottostante: in base al rischio di credito che assumi devi avere un determinato ammontare di capitale Ø Obiettivi dell’accordo: rafforzare solidità dei sistemi bancari/finanziari; ridurre le differenze competitive tra le banche di diversi paesi 30 30
Vengono definiti tre elementi 1) Il capitale/patrimonio di vigilanza 2) Il rischio di credito (attraverso un meccanismo di ponderazioni) 3) Il rapporto minimo tra capitale e rischio = coefficiente di solvibilità 31 31
Il patrimonio di vigilanza Ø Il patrimonio è calcolato come somma algebrica di una serie di elementi positivi e negativi la cui computabilità viene ammessa, con o senza limitazioni a seconda dei casi, in relazione alla qualità patrimoniale riconosciuta a ciascuno di essi Ø Gli elementi positivi che concorrono alla formazione del patrimonio devono poter essere utilizzati senza restrizioni per la copertura dei rischi e delle perdite nel momento in cui si verificano 32 32
Il patrimonio di vigilanza n Il Patrimonio di vigilanza è costituito dalla somma del patrimonio di base — ammesso nel calcolo senza alcuna limitazione — e del patrimonio supplementare, che viene ammesso nel limite massimo del patrimonio di base. n Da tale somma vengono dedotte le partecipazioni, gli strumenti ibridi di patrimonializzazione e le attività subordinate, detenuti in altre banche e società finanziarie. 33 33
Il capitale/patrimonio di vigilanza Patrimonio di base (Tier 1) = capitale versato + riserve + fondo rischi bancari generali – importi da versare da parte degli azionisti – azioni in portafoglio- altre voci + Patrimonio supplementare (Tier 2; non può eccedere il Tier 1) = riserve di rivalutazione, fondi rischi, strumenti ibridi di patrimonializzazione, passività subordinate – altre voci - Deduzioni 34 34
Come funzionava il Basilea I: le ponderazioni per il rischio di credito Attività in bilancio 0% = contante e valori assimilati, crediti verso banche centrali paesi Ocse, titoli di stato emessi da paesi Ocse 20% = crediti verso banche multilaterali di sviluppo e crediti garantiti da tali istituzioni o da titoli emessi dalle medesimi, titoli emessi da enti pubblici statunitensi 50% = mutui integralmente assistiti da garanzia ipotecaria su immobili residenziali 100% = crediti verso imprese private, crediti verso banche e governi di paesi non Ocse 35 35
Come funzionava il Basilea I: le ponderazioni per il rischio di credito Attività fuori bilancio 0% = impegni analoghi alla erogazione di credito con scadenza inferiore a un anno 20% = impegni di firma collegati ad operazioni commerciali (crediti documentari con garanzia reale) 50% = facilitazioni in appoggio alla emissione di titoli, altri impegni 100% = sostituti diretti dal credito (fidejussioni e accettazioni); cessioni di attività prosolvendo con rischio di credito a carico della banca 36 36
Il coefficiente di solvibilità = ammontare minimo del patrimonio di vigilanza che le banche devono tenere in rapporto al complesso delle attività ponderate sulla base del rischio creditizio di ciascuna di esse = numeratore è PV = denominatore è composto dalla sommatoria delle attività ponderate per il rischio Il coefficiente deve essere almeno dell’ 8% 37 37
Il processo di revisione dell’accordo di Basilea Ø La risposta del mercato ai requisiti minimi patrimoniali: regulatory capital arbitrage Ø Asset securitisation Ø Credit derivatives Ø 1996 Amendment per il rischio di mercato 38 38
Il Basilea II Tre pilastri ØRequisiti minimi di capitale ØAdeguatezza ØDisciplina patrimoniale di mercato 39 39
Con il documento The New Basel Capital Accord (Basel Committee on Banking Supervision del 2001) sono stati definitivamente specificati i contenuti dei tre pilastri della nuova proposta, successivamente affinati nel documento definitivo (Basel Committee on Banking Supervision del 2004): ØMinimum capital requirements: il primo pilastro concede la possibilità di usare i rating interni per quantificare il livello minimo di capitale per la banca, in alternativa all’utilizzo del “nuovo approccio standard” (o dei rating esterni) (livello minimo di capitale commisurato ai rischi del portafoglio crediti, necessario per fronteggiare le possibili perdite) ØSupervisory review of capital adequacy: il secondo pilastro stabilisce che, in caso di inadeguatezza dei sistemi gestionali delle banche, le autorità di vigilanza nazionali sono titolate ad aumentare i requisiti minimi caso per caso (le banche devono dotarsi di sistemi di misurazione e controllo dei rischi e devono sviluppare politiche e procedure per la valutazione dell’adeguatezza patrimoniale sotto la supervisione degli organi di controllo nazionali: controllo prudenziale) ØMarket discipline: il terzo pilastro intende disciplinare l’assunzione del rischio da parte delle banche attraverso l’azione del mercato finanziario, reso a sua volta un controllore efficace grazie ai maggiori obblighi di disclosure dei rischi assunti dalle banche (utilizzo dei requisiti di trasparenza delle informazioni sulle condizioni di rischio e di patrimonializzazione delle singole banche) 40 40
Primo Pilastro: requisiti patrimoniali minimi Tre elementi per il calcolo: Ø Patrimonio di Vigilanza (= rimane essenzialmente invariato) Ø Attività ponderate per il rischio Ø Rapporto minimo > 8% Tuttavia: PV 8% 12, 5 x (PVrm+PVro)+APrc 41 41
Metodi di misurazione del rischio di credito e del rischio operativo Credit Risk Standardised approach Ø Foundation IRB approach Ø Advanced IRB approach Ø Operational risk Basic Indicator Approach Ø Standardised Approach Ø Advanced Measurement Approaches (AMA) Ø 42 42
La misurazione del rischio di credito secondo il Basilea 2 43 43
Rischio di credito: prime definizioni In generale il rischio di credito …. Si riferisce alla possibilità che una variazione inattesa del merito creditizio di una controparte nei confronti della quale esiste un’esposizione generi una corrispondente variazione inattesa del valore di mercato della posizione creditoria Quindi il rischio di credito non è limitato (come spesso si crede) alla sola possibilità di insolvenza della controparte: anche il più banale deterioramento del merito creditizio della controparte stessa può essere considerata una manifestazione del rischio di credito 44 44
n La banca si espone al rischio di credito: I. nell’attività di erogazione del credito; II. nella sottoscrizione di attività finanziarie (acquisto e detenzione di titoli obbligazionari); III. nell’assunzione di impegni futuri, come ad esempio il rilascio di garanzie alla clientela e più in generale la concessione di crediti di firma (anche l’attività di negoziazione in valori mobiliari, in particolar modo quella in strumenti derivati, origina esposizioni al rischio di credito nella forma di rischio di controparte) 45 45
Una corretta determinazione del prezzo deve tener conto del grado di rischio incorporato in ciascuna operazione. Quando questo non accade, la banca si pone nella condizione di non massimizzare il proprio profitto e, dal punto di vista patrimoniale, di ridurre il proprio valore netto. Nel momento in cui la probabilità di insolvenza si alza, il premio per il rischio aumenta e il valore di mercato dell’attività si riduce (il valore di mercato di un prestito subisce una riduzione nel momento che il valore attuale dei flussi futuri di quell’attività finanziaria va determinato utilizzando un tasso di sconto che incorpora un premio al rischio che a sua volta riflette la probabilità di insolvenza) Il rischio di credito può essere scomposto in due componenti Rischio di insolvenza Rischio di perdita conseguente all’insolvenza del debitore Rischio di spread Rischio di perdita conseguente al deterioramento del merito creditizio del debitore al quale farebbe seguito un aumento dello spread richiesto dal mercato 46 46
Volendo approfondire le componenti del rischio di credito, è possibile distinguere i seguenti elementi principali: 1) Il tasso di perdita atteso Øsi tratta del valore medio della distribuzione dei tassi di perdita. Proprio perché attesa, è evidente che tale perdita non rappresenta il vero rischio di un’esposizione creditizia; in quanto stimata ex ante, infatti, essa viene direttamente caricata in termini di spread sulle condizioni di prezzo applicate dal mercato al creditore (per il suo merito di credito). ØLa perdita attesa, a sua volta, dipende dalla probabilità di inadempienza e dal recupero possibile dovuto a garanzie esistenti (tasso di perdita in caso di insolvenza) ØSe le perdite eguagliassero sempre l’ammontare atteso, e la banca accantonasse fondi per pari ammontare, non vi sarebbe alcuna incertezza sulle condizioni di profittabilità e quindi alcuna conseguenza negativa sul reddito futuro 47 47
2) la variabilità della perdita attorno al suo valore medio: questa seconda componente rappresenta il vero fattore di rischio, ossia il rischio che la perdita risulti, a posteriori, di ammontare superiore a quella stimata ex ante. ØMentre la prima componente – la perdita attesa – non può essere ridotta mediante un opportuno processo di diversificazione del portafoglio in termini di mercati geografici, settori merceologici, o classi dimensionali dei soggetti affidati, la seconda componente – la variabilità di tale perdita (perdita inattesa) – può essere ridotta mediante un’adeguata politica di diversificazione del portafoglio impieghi della banca 48 48
3) Il terzo elemento consiste, pertanto, nell'effetto diversificazione, ossia nella diminuzione che il tasso di perdita inattesa subisce nel momento in cui, in uno stesso portafoglio, vengono inseriti impieghi i cui tassi di perdita attesa risultano caratterizzati da una correlazione non perfettamente positiva (inferiore all’unità). ØSi tratta, in altri termini, di un fattore correttivo (al ribasso) della seconda componente che si registra ogni qualvolta un singolo prestito si inserisce in un portafoglio di prestiti preesistente nei confronti del quale la nuova operazione non si muove all’unisono (si verifica cioè un effetto di riduzione della rischiosità media analogo a quello osservato per un portafoglio di attività finanziarie) 49 49
La perdita attesa di un prestito, poi, può essere a sua volta suddivisa in due elementi: q. La q. Il probabilità di insolvenza della controparte (probability of default = PD) tasso di perdita in caso di insolvenza (loss given default = LGD) Analiticamente pertanto si ha che: Pa = (PD x EAD) x LGD Pa = E(Ti) x [1 -E(Tr)] Dove Pa = tasso di perdita atteso E(Ti) = tasso di insolvenza atteso (E=PD; Ti = esposizione in caso di inadempienza = EAD) E(Tr) = tasso di recupero atteso in caso di insolvenza 50 50
ØMentre la probabilità di insolvenza dipende dal merito creditizio del debitore, il tasso atteso di recupero dipende principalmente dalla natura del finanziamento e dalle eventuali garanzie che lo assistono. ØLa distinzione tra perdita attesa e perdita inattesa è particolarmente rilevante poiché è un elemento essenziale per le scelte gestionali che riguardano: L’ammontare delle svalutazioni dirette e degli accantonamenti necessari per fronteggiare la componente delle perdite attese q Il mantenimento di una adeguata dotazione di capitale proprio per fronteggiare la componente inattesa di tali perdite q La richiesta, al prenditore, di una maggiorazione nel tasso di rendimento che tenga conto delle svalutazioni e degli accantonamenti per le perdite attese e del costo del capitale che fronteggia le perdite inattese q 51 51
Ø Per la stima del tasso atteso di insolvenza, si seguono, nella prassi, tre possibili approcci Ø Il primo è costituito dai cosiddetti modelli analitico soggettivi, che consentono di tenere adeguatamente in considerazione sia le variabili di natura quantitativa, sia le variabili di natura qualitativa che, al contrario, un modello statistico non è in grado di cogliere. I modelli analitici presentano, tuttavia, lo svantaggio di essere modelli estremamente sensibili agli elementi soggettivi Ø Un secondo possibile approccio consiste nei modelli di natura statistica che vanno generalmente sotto il nome di modello di rating o modelli di scoring. Un forte impulso allo sviluppo dei sistemi di rating interno è giunto alle banche europee, soprattutto quelle di minori dimensioni, dalla revisione dell’Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniale del 1988, nota come Basilea 2. 52 52
Ø In merito all’aspetto più critico delle metodologie di assegnazione dei rating, Basilea 2 si è limitata ad elencare alcuni requisiti di massima, lasciando alle banche l’onere della scelta dell’approccio di valutazione Ø Tra queste, particolare attenzione è stata riversata dalle banche sulle tecniche automatiche, tra cui lo scoring, ossia una specifica tecnica di determinazione di una misura di affidabilità del prenditore sulla base di variabili di input e relazioni individuate e stimate su predefiniti campioni di debitori/creditori utilizzando apposite metodologie statistiche nella fase di costruzione del modello predittivo Ø Tornando alla natura dei modelli, preme sottolineare che si tratta prevalentemente di modelli multivariati che, analizzando diversi indici contabili e attribuendo ad ognuno di essi, mediante opportune tecniche statistiche, una ponderazione, giungono ad una valutazione del merito creditizio che viene sintetizzata in un unico valore. Ø Un terzo ed ultimo approccio per la stima dei tassi di insolvenza si fonda sui dati storici prodotti dalle agenzie di rating 53 53
Calcolo dei requisiti patrimoniali minimi per il rischio di credito secondo Basilea 2 1. il metodo standard 2. il metodo rating interni di base 3. il metodo rating interni Requisito patrimoniale decrescente Complessità crescente Le banche possono scegliere tra i seguenti metodi per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi avanzato 54 54
Crediti verso imprese: metodo standard Portafogli o Imprese Da AAA a Da A+ a A- Da BBB a AA BB- Inferiore a BB- Senza rating Ponderazio ni impieghi Nuovo Accordo 20% 50% 100% 150% 100% Capitale necessario (per 100 euro di prestito) 1, 6 ………. . ………… 8 a. a. 2010/11 55 55
Cos’è un rating? Significato di rating per Fitch 56
Il sistema basato sui rating interni (IRB) ØIl sistema IRB (Internal rating based approach – IRB) prevede che le banche suddividano le esposizioni in portafoglio in diverse classi di attività con diverse caratteristiche di rischio di credito. ØLe classi di attività sono relative a imprese, banche, soggetti sovrani, clientela al dettaglio (retail), partecipazioni azionarie, crediti commerciali acquistati ØPer ognuna delle classi è previsto un insieme specifico di elementi di rischio, ponderazioni e requisiti minimi per l’ammissibilità. ØVi è la necessità di disporre di serie storiche di dati ØRating deve essere dato da chi nella organizzazione non ha vantaggio a darlo!!!! 57 57
IRB: aspetti fondamentali ØIl Comitato ha sviluppato una metodologia di base (foundation approach) e una avanzata (advanced approach) per la stima delle componenti di rischio ØNel metodo base relativo alle esposizioni verso imprese, banche e soggetti sovrani, una banca deve stimare internamente la probabilità di insolvenza (PD – probability of default) connessa ai mutuatari inclusi in ciascuna classe di rating, facendo affidamento nel contempo alle regole prudenziali per la stima delle altre componenti di rischio. 58 58
IRB: aspetti fondamentali Ø Nel metodo avanzato le banche possono utilizzare stime interne per tre ulteriori componenti di rischio: perdita in caso di insolvenza del mutuatario (LGD – loss given default), entità dell’esposizione al momento dell’insolvenza (EAD – Exposure at default) e il trattamento dei derivati di credito e delle garanzie. Ø Devono però rispettare requisiti minimi. 59 59
Calcolo dei requisiti patrimoniali secondo il metodo dei rating interni Requisito patrimoniale funzione di (PD; LGD; EAD; M) (da 1, 18% a 28, 20%) Regole Basilea 2 Impiego 1. 000 euro ad una impresa + copertura rischio operativo 350 300 250 200 150 100 50 20. 00% 15. 00% 10. 00% 6. 00% 5. 00% 4. 00% 3. 00% 2. 50% 2. 00% 1. 50% 1. 30% 1. 00% 0. 80% 0. 50% 0. 40% 0. 30% 0. 18% 0. 15% 0 0. 10% Requisito patrimoniale Più cresce il requisito patrimoniale Assorbimento Patrimonio di vigilanza = % Requisito patrimoniale (PD; LGD; EAD: M) x Impiego Probabilità di default Più a. a. 2010/11 aumenta il rischio 60 60
Metodo standard e metodi IRB Metodo Standard Coefficiente di ponderazione fornito dalle agenzie di rating Esposizione EAD x PD x LGD x M +/- x = 8% Granularity x 8% Requisito patrimoniale = Requisito patrimoniale Valori calcolati dalle banche Metodo IRB avanzato Metodo IRB di base 61 61
Per la stima del tasso di recupero, invece, va sottolineato come i fattori che determinano tale variabile siano essenzialmente quattro. La gravità dello stato di insolvenza, ossia l’entità del divario tra il valore delle attività e il valore delle passività del soggetto affidato Il grado di liquidità delle attività dell’impresa e, quindi, la relativa facilità con cui le attività a disposizione possono essere convertite in liquidità al fine di rimborsare i creditori La presenza di eventuali garanzie, sia reali sia personali, con il connesso grado di liquidità. Il Comitato di Basilea ha previsto, nel nuovo schema di regolamentazione del capitale, il riconoscimento di “sconti” sui requisiti patrimoniali da applicare alle esposizioni caratterizzate dalla presenza di strumenti di mitigazione del rischio di credito, quali le garanzie di natura personale o reale. La disciplina proposta ha una struttura flessibile che consente di variare lo sconto in funzione del tipo di garanzia presentata e della sua capacità di copertura del debito. Le tecniche di mitigazione del rischio, a seconda della loro tipologia, riducono il requisito di capitale agendo su variabili diverse, le garanzie personali sono modificative della probabilità di insolvenza (PD), mentre le garanzie reali (finanziarie o immobiliari) impattano sulla perdita al momento dell’insolvenza (LGD) Il grado di esposizione, ossia l’eventuale presenza di forme di seniority o di subordinazione nei confronti di altri creditori. 62 62
ØDa ultimo, per la stima della perdita inattesa, è opportuno riflettere sul fatto che la perdita effettivamente registrata ex post da un portafoglio di impieghi può risultare diversa da quella stimata ex ante fondamentalmente per due ordini di motivi: per il fatto che il tasso di insolvenza risulti a posteriori superiore a quello stimato in origine e/o per il fatto che il tasso di recupero in caso di insolvenza risulti ex post inferiore a quello stimato ex ante. Ø Seguendo una logica di tipo probabilistico, quale quella tipica dei modelli del valore a rischio (VAR), si deve valutare fino a quale punto il deterioramento di queste due variabili può manifestarsi con un certo livello di confidenza. 63 63
Rating del debitore Forma tecnica Rating del garante Garanzie reali In che percentuale di casi si rischia una perdita? Forma tecnica Margine disponibile Quale percentuale si perderà in caso di default? PD Su quale esposizione effettiva? EAD LGD Patrimonio (capitale, fondi generali) Accantonamenti/svalutazioni Copertura della perdita inattesa Copertura della perdita attesa Costo del capitale Livello dei tassi Costi operativi Prezzo Redditività cliente Politica commerciale 64 64
Basilea 3 65 65
Il dibattito in corso n La gravità della crisi che ha colpito l’economia mondiale, propagandosi da focolai inizialmente circoscritti ad alcuni segmenti del settore finanziario d’oltreoceano, ha inevitabilmente portato a chiedersi se vi fossero gravi difetti nella regolamentazione e, in particolare, nell’accordo internazionale noto come Basilea 2. n In realtà, all’origine della crisi vi è stata un’interazione fra crescenti squilibri macroeconomici, politiche monetarie accomodanti, un’innovazione finanziaria che sembra aver superato la capacità degli operatori di gestirne le implicazioni, la naturale tendenza dei mercati a passare bruscamente da fasi di euforia e sottostima dei rischi a fasi di crollo della fiducia, il moltiplicarsi delle occasioni di contagio generata dall’integrazione economica internazionale. 66 66
Il dibattito in corso n n Certamente l’apparato regolamentare e di supervisione del settore finanziario non è stato in grado di prevenire l’eccessiva dilatazione dei rischi o di imbrigliare lo sviluppo della crisi. In risposta alla crisi è stata avviata un’azione concertata dei governi, all’interno della quale si svolge, con riferimento al settore finanziario, l’azione di riforma regolamentare del Financial Stability Board e, per il settore bancario, quella del Comitato di Basilea. 67 67
Gli interventi per ridurre il rischio di liquidità n Sin dal primo Accordo di Basilea, la regolamentazione finanziaria per le banche è stata fortemente incentrata sulla presenza di presidi patrimoniali commisurati ai rischi assunti, nella convinzione che alle esigenze di liquidità degli intermediari potesse farsi sempre fronte grazie a mercati interbancari ben sviluppati e integrati. n Il rischio che banche solvibili potessero trovarsi nella condizione di non essere in grado di onorare i propri impegni di cassa nei tempi richiesti e a costi sostenibili era sottostimato. 68 68
Gli interventi per ridurre il rischio di liquidità n La crisi finanziaria ha mostrato invece con quanta rapidità, intensità e durata possa manifestarsi il rischio di liquidità e quali effetti esso possa determinare sulla stabilità degli intermediari e dell’intero sistema. n È risultata evidente l’esigenza di definire a livello internazionale un sistema di regole in materia di gestione della liquidità. n Attraverso l’introduzione di regole quantitative, il Comitato di Basilea mira dunque a evitare che squilibri nella gestione delle liquidità possano mettere a repentaglio la stabilità del singolo intermediario e a ridurre le possibilità di contagio ad altri operatori. 69 69
Gli interventi per ridurre il rischio di liquidità n Un primo indicatore (liquidity coverage ratio - LCR), finalizzata a garantire l’equilibrio finanziario di breve periodo, richiede che le banche si dotino di cuscinetti di attività liquide in grado di coprire – anche in condizioni di stress molto severe – deflussi di cassa attesi in un orizzonte di 30 giorni, senza ricorrere al mercato (in vigore dal 2015). n Un secondo indicatore (net stable funding ratio – NSFR) risponde invece all’esigenza di evitare squilibri strutturali nella composizione per scadenze delle passività e attività di bilancio, su un orizzonte temporale di un anno (in vigore dal 2018) 70 70
Le proposte per rafforzare l’adeguatezza del capitale n Le regole sull’adeguatezza del capitale rimangono lo strumento principale per influenzare gli incentivi all’assunzione di rischi da parte delle banche e per determinare la loro capacità di assorbire perdite rimanendo vitali. n Obiettivo è il miglioramento della qualità degli strumenti finanziari che possono essere inclusi nel patrimonio di vigilanza e un più adeguato trattamento di alcuni rischi. 71 71
La definizione di capitale n Le nuove regole si prefiggono dunque l’obiettivo di innalzare la qualità del capitale, rendendo le banche più pronte ad affrontare future crisi e ad assorbire le perdite in un’ottica sia – e soprattutto – di continuità aziendale sia di liquidazione. n Nel confermare la ripartizione del patrimonio di vigilanza in patrimonio di base (Tier 1) – a copertura delle perdite in un’ottica di continuità aziendale – e patrimonio supplementare (Tier 2) – a copertura delle perdite in caso di liquidazione – l’orientamento è per una definizione restrittiva della componente predominante del patrimonio di base (il core Tier 1), che per le banche costituite in forma di società per azioni viene essenzialmente limitata alle azioni ordinarie e alle riserve di utili. 72 72
La definizione di capitale n n Gli attuali coefficienti patrimoniali minimi relativi al patrimonio totale e a quello di base vengono affiancati da un requisito relativo al core Tier 1. A regime: q core Tier 1: 4, 5% q Tier 1: 6% q Patrimonio complessivo: 8% Nello stesso spirito, vengono introdotte regole più stringenti per l’ammissibilità nel patrimonio supplementare degli strumenti di debito subordinato; scompaiono, gradualmente, gli elementi di qualità più bassa (cfr. tabella successiva) 73 73
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Il leverage ratio n Un’altra problematica emersa attiene all’elevato indebitamento (leverage) delle banche maggiormente hanno subito la crisi. n Si stanno quindi compiendo diversi sforzi per introdurre strumenti che limitino l’eccessiva crescita dell’indebitamento nelle fasi di euforia. n La proposta di imporre un leverage ratio (rapporto di indebitamento) alle banche è una delle risposte all’esigenza di evitare livelli di debito non compatibili con un equilibrato funzionamento del sistema economico. n Il leverage ratio, definito come il rapporto massimo tra il volume delle attività e delle esposizioni fuori bilancio e il capitale, ha peraltro una duplice finalità. 75 75
Il leverage ratio n Oltre a contribuire a contenere il livello di indebitamento nelle fasi di elevata crescita economica, esso può supplire ad eventuali carenze o imperfezioni nei modelli interni per la valutazione del rischio, soprattutto di quelli sviluppati per prodotti finanziari particolarmente complessi o innovativi. n Il rapporto tra il Tier 1 e le attività complessive (on balance e off balance) deve essere almeno pari al 3% n Periodo transitorio q da gennaio 2011. monitoraggio q da gennaio 2015: informativa sul livello del ratio e sulle componenti q entrata in vigore: 2018 76 76
L’effetto dei rischi sui bilanci degli intermediari Una volta definite le principali categorie di rischio, possiamo esaminare come questi rischi si riflettono sul bilancio degli intermediari. La tabella indica il criterio generale che deve essere seguito quando l’evento si manifesta e le voci di bilancio interessate Criterio generale da seguire Voci di bilancio interessate RISCHIO DI LIQUIDITA’ Perdita in conto capitale per vendite in condizioni di emergenza Mancata possibilità di finanziare posizioni in scadenza Minusvalenze Maggiori costi di finanziamento RISCHIO DI MERCATO Mark-to-market (esposizione del valore di bilancio al valore economico) Valore delle attività Minus-plusvalenze Conto economico RISCHIO DI CREDITO Rettifiche di valore Perdite su crediti (write-offs) Deduzioni dirette Accantonamenti a fondo rischi 77
Ø I vari rischi si riflettono sul patrimonio o direttamente o passando attraverso la riduzione dell’utile di bilancio. Ø E’ allora chiaro perché il patrimonio rappresenti un autentico «paraurti» rispetto al verificarsi dei rischi. Ø La regola economica fondamentale è naturalmente che un’impresa per poter continuare ad esistere deve avere patrimonio netto maggiore di zero, cioè deve essere in condizione di solvibilità. 78
Ø L’adeguatezza del capitale rispetto ai rischi sopportati è dunque la difesa fondamentale rispetto al rischio di solvibilità. Ø Il capitale proprio risulta «adeguato» quando riduce la probabilità di insolvenza futura di un’istituzione ad un livello minimo predeterminato. Ø Naturalmente, come per la liquidità non esiste nessuna formula magica né alcuna regola fissa: valutare ex ante l’adeguatezza è dunque il momento cruciale delle buone regole di gestione bancaria e di efficacia degli interventi di controllo. Ø Proprio perché è sul patrimonio che alla fine si scaricano tutti i rischi della banca si sono diffuse tecniche di misurazione della relazione esistente fra singoli rischi (e rischi nel loro complesso) e il patrimonio stesso. 79
Riassunto: i limiti di Basilea I Cosa mancava? n Differenziazione delle misure di rischio per la stessa tipologia di clientela; n Scadenza dei prestiti n La diversificazione dei portafogli di prestiti n Rischio operativo e di mercato 80
Da Basilea III n n Periodo di transizione (molte norme entrano in vigore nel 2019) Le aziende bancarie ancora più “attenzionate” Stabilità finanziaria in un contesto economico incerto Cosa succederà nel 2019? 81
Da Basilea III Definizione di Common equity (Core Tier 1) n Riserve e utili non distribuiti (eccetto l’avviamento) n Azioni Ordinarie n Azioni Privilegiate n countercyclical capital buffer: capitale aggiuntivo che può essere richiesto in periodi di ciclo economico positivo, come buffer nei periodi di ciclo economico relativo 82
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