Con gli occhi dei poeti percorsi tematici Gli
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«Con gli occhi dei poeti» percorsi tematici Gli affetti familiari
Salvatore Quasimodo (1901 -1968) AI padre da La terra impareggiabile, 1958 La tua pazienza Dove sull'acque viola triste, delicata, ci rubò la paura, era Messina, tra fili spezzati fu lezione di giorni uniti alla morte e macerie tu vai lungo binari tradita, al vilipendio dei ladroni e scambi col tuo berretto di gallo presi fra i rottami e giustiziati al buio isolano. Il terremoto ribolle dalla fucileria degli sbarchi, un conto da tre giorni, è dicembre d'uragani di numeri bassi che tornava esatto e mare avvelenato. Le nostre notti cadono concentrico, un bilancio di vita futura. nei carri merci e noi bestiame infantile Il tuo berretto di sole andava su e giù contiamo sogni polverosi con i morti poco spazio che sempre ti hanno dato. sfondati dai ferri, mordendo mandorle nel Anche a me misurarono ogni cosa, e mele disseccate a ghirlanda. La scienza e ho portato il tuo nome del dolore mise verità e lame nei giochi un po' più in là dell'odio e dell'invidia. dei bassopiani di malaria gialla e terzana gonfia di fango.
Quel rosso sul tuo capo era una mitria, una corona con le ali d'aquila. E ora nell'aquila dei tuoi novant'anni ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali di partenza colorati dalla lanterna notturna, e qui da una ruota ciò che non potevo un tempo - difficile affinità imperfetta del mondo, su una piena di muri serrati, di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo cicale del biviere, agavi lentischi, lontano dai gelsomini d'Arabia come il campiere dice al suo padrone: dove ancora tu sei, per dirti «Baciamu li mani» . Questo, non altro. Oscuramente forte è la vita.
Cecco Angiolieri (1260 -1313) Tre cose solamente mi so ’n grado, le quali posso non ben men fornire: E dico: – Dato li sia d’una lancia! – ciò è la donna, la taverna e ’l dado; Ciò a mi’ padre, che mi tien sì magro, queste mi fanno ’l cuor lieto sentire. che tornare’ senza logro di Francia. Ma sì me le conven usar di rado, Trarl’un denai’ di man serìa più agro, ché la mie borsa mi mett’al mentire; la man di pasqua che si dà la mancia, e quando mi sovvien, tutto mi sbrado, che far pigliar la gru ad un bozzagro. ch’i’ perdo per moneta ’l mie disire.
Maria Luisa Spaziani (1922 -2014) Papà, radice e luce, portami ancora per mano nell’ottobre dorato del primo giorno di scuola. Le rondini partivano, strillavano: fra cinquant’anni ci ricorderai.
Giovanni Pascoli (1855 -1912) X agosto – da Myricae, 1897 San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla. Anche un uomo tornava al suo nido: l'uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole in dono. . . Ritornava una rondine al tetto: l'uccisero: cadde tra spini: ella aveva nel becco un insetto: la cena de' suoi rondinini. Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. Ora è là, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell'ombra, che attende, che pigola sempre più piano. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh!, d'un pianto di stelle lo innondi quest'atomo opaco del Male!
Giosuè Carducci (1835 -1907) Pianto antico - da Rime Nuove, 1887 L’albero a cui tendevi La pargoletta mano, Il verde melograno Da’ bei vermigli fior, Tu fior de la mia pianta Percossa e inaridita, Tu de l’inutil vita Estremo unico fior, Nel muto orto solingo Rinverdí tutto or ora E giugno lo ristora Di luce e di calor. Sei ne la terra fredda, Sei ne la terra negra; Né il sol piú ti rallegra Né ti risveglia amor.
Giosuè Carducci (1835 -1907) Funere mersit acerbo- da Rime Nuove, 1887 O tu che dormi là su la fiorita Collina tósca, e ti sta il padre a canto; Non hai tra l’erbe del sepolcro udita Pur ora una gentil voce di pianto? Ahi no! giocava per le pinte aiole, E arriso pur di visïon leggiadre L’ombra l’avvolse, ed a le fredde e sole Vostre rive lo spinse. Oh, giú ne l’adre È il fanciulletto mio, che a la romita Sedi accoglilo tu, ché al dolce sole Tua porta batte: ei che nel grande e santo Ei volge il capo ed a chiamar la madre. Nome te rinnovava, anch’ei la vita Fugge, o fratel, che a te fu amara tanto.
Giuseppe Ungaretti (1888 -1970) Giorno per giorno – da Il dolore, 1937 -1946 Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto. . . 1 E il volto già scomparso ma gli occhi ancora vivi dal guanciale volgeva alla finestra, e riempivano passeri la stanza verso le briciole dal babbo sparse per distrarre il suo bambino. . . 2 Ora potrò baciare solo in sogno le fiduciose mani. . . E discorro, lavoro, sono appena mutato, temo, fumo. . . Come si può ch'io regga a tanta notte? . . . 3 Mi porteranno gli anni chissà quali altri orrori, ma ti sentivo accanto, m'avresti consolato. . . 4 Mai, non saprete mai come m'illumina l'ombra che mi si pone a lato, timida quando non spero più. . .
5 Ora dov'è, dov'è l'ingenua voce che in corsa risuonando per le stanze, sollevava dai crucci un uomo stanco? . . La terra l'ha disfatta, la protegge un passato di favola. . . 6 Ogni altra voce è un'eco che si spegne ora che una mi chiama dalle vette immortali. . . 7 In cielo cerco il tuo felice volto, ed i miei occhi in me null'altro vedano quando anch'essi vorrà chiudere Iddio. . . 8 E t'amo, ed è continuo schianto!. . 9 Inferocita terra, immane mare mi separa dal luogo della tomba dove ora si disperde il martoriato corpo. . . Non conta. . . Ascolta sempre più distinta quella voce d'anima. . .
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