Collaborazione razionale per creare delle forme di collaborazione
Collaborazione razionale per creare delle forme di collaborazione tra individui in rete, io decido razionalmente di collaborare con gli altri Che tipo di comunità si formano su Internet? • Comunità di persone che, razionalmente, decidono di mettere in comune le loro risorse (strumentale: aumentare il prestigio sociale, poter ottenere dei vantaggi) • Comunità basate su un’unione puramente emozionale, affettiva, istintuale (emotivo: condividere una passione con qualcuno, un interesse, e così via). La società dei network rappresenta una sorta di superamento delle comunità intese in senso classico, cioè molto coese, organiche. Sul web l’individuo acquista la libertà di scegliere a quali network appartenere. I network hanno comunque una forte componente razionale.
Le comunità online, in molti casi e a causa di una serie di fattori, si trasformano in delle «neo-tribù» § Hanno una fortissima componente emotiva § Sono spesso incapaci di interagire con comunità diverse § Hanno opinioni radicali e sono chiuse in una sorta di unione tribale
• Ha studiato i problemi legati alle comunità e la prevalenza dell’ “immaginario” nella società contemporanea • È fondatore del Centre d’études sur l’actuel et le quotidian, che studia i nuovi processi sociali basati sull’immaginario • Ha elaborato una delle teorie più interessanti sulla relazione tra la formazione dell’ientità personale e i nuovi media oggi Michel Maffesoli Lo sviluppo tecnologico e I nuovi media facilitano la formazione di forme pre-razionali e araiche di pensiero. Paradosso Sviluppo tecnologico = razionalismo Le neo-tribù rifiutano il razionalismo
Sviluppo tecnologico Condivisione di sentimenti and passioni al di là dei confini nazionali La formazione di forme arcaiche di pensiero: le “neo-tribù” «arcaico» Il ritorno alle tribù, per come lo prefigura Maffesoli, è espressione di un ritorno a forme arcaiche di convivenza tra gli individui
Le neo-tribù “Tribù”: una forma di aggregazione primitiva, tipica di una società pre-moderna «tribù offline» vs comunità online Nel 2011 c’è stato un intervento militare di alcuni paesi in Libia. L’intervento era finalizzato a destituire Gheddafi come capo politico (secondo alcuni dittatore del paese). Una volta che Gheddafi è stato destituito e poi addirittura ucciso, si è creato in Libia un vuoto di potere. Negli anni successivi si è creato un governo riconosciuto dalle Nazioni Unite, quello di Al Serraj, che ha unito diverse fazioni. In una parte della Libia però si è insediato un governo alternativo guidato da un generale, Khalifa Haftar. Tutto questo per dire che, dopo la caduta di Gheddafi, la Libia è stata in balia di uno scontro tra tribù rivali, tra piccole fazioni. Ognuna di queste fazioni è definita tribù perché i membri sono legati da un’appartenenza di tipo etnico, in una struttura comunitaria non organizzata e basata su fortissimi legami identitari. Queste sono chiaramente tribù offline.
La tecnologia favorisce la circolazione di immagini e segni in tutto il mondo e a enorme velocità La razionalità cede un po’ il passo agli istinti, alle emozioni, perché le immagini colpiscono appunto la sfera emozionale e istintuale e meno quella cognitiva Neo-tribù
Perché lo sviluppo tecnologico e i nuovi media sono così importanti per la formazione delle neo-tribù? Una neo tribù è un’aggregazione temporanea di persone che condividono un ineresse. Gli elementi principali sono: • Il desiderio di provare qualcosa insieme • La valorizzazione del presente • Non è necessaria una prossimità spaziale • Non esistono scopi strumentali o obiettivi di lunga durata.
Le comunità estetiche si formano sulla base di componenti ludiche ed emotive. Non hanno grande stabilità, ma possono strutturarsi e durare nel tempo. Strutturarsi vuol dire anche possono diventare comunità sempre più chiuse e radicalizzate. La strage di Sandy Hook, USA, 2012 I fan di un partito politico, se diventano intolleranti verso chi non la pensa come loro, possono mettere a rischio il buon funzionamento della democrazia, che si basa sempre su un confronto aperto tra idee differenti e non sullo scontro tra comunità-tribù. Il rischio ovviamente aumenta se queste persone che fanno parte della comunità-tribù di tipo politico sono poco disposte ad attivare il pensiero razionale, questo perché magari la comunità-tribù, come da teoria di Maffesoli, si è formata su una base fortemente emozionale, tipica del web. Ma se in politica sono poco disposto a far lavorare il cervello, come cittadino ed elettore divento una persona pericolosa, che vuole credere solo a quello che gli fa comodo, facilmente manipolabile dalla disiniformazione, incapace di ragionare e confrontarmi, che magari passa tutto il tempo sui social ad insultare chi la pensa diversamente sui gruppi Facebook e così via.
Le bufale erano state molto amplificate da Facebook, tanto che i genitori delle vittime avevano scritto una lettera a Mark Zuckerberg in cui lo accusavano, come rappresentante di Facebook, di non aver fatto cancellare queste fake news che giravano sulla strage. Ecco un estratto: “Dal giorno della strage abbiamo subito molestie online, telefoniche e di persona, abusi e minacce di morte. Uno dei molestatori è stato condannato al carcere perché le sue minacce di morte sono state ritenute credibili. Ciò che rende l’intera situazione ancora più orribile è che abbiamo dovuto intraprendere una battaglia quasi inconcepibile con Facebook per fornirci le protezioni più basilari per rimuovere i contenuti più offensivi e incendiari”.
Il «meccanismo tribale» delle comunità online La logica tribale sul web può provocare seri danni… Costruire una narrazione L’esempio di quanto accaduto con la strage nella scuola di Sandy Hook, negli Stati Uniti, nel 2012, con alcune comunità di persone favorevoli all’uso di armi che avevano elaborato delle teorie complottiste secondo le quali quella strage non era mai avvenuta, arrivando a tormentare i parenti dei bambini morti, accusandoli di aver creato soltanto una messa in scena. Negare i fatti Le idee non sono messe in discussione
Quando funziona bene la democrazia? Quando nella sfera pubblica c’è un dibattito aperto in cui tutti i punti di vista sono rappresentati, le persone possono fare le loro decisioni su chi votare e come pensare riguardo certe questioni, etc. La rivoluzione tecnologica era la promessa di conquistare finalmente la libertà individuale. Pensate innanzitutto al potenziale democratico che c’è nel web dal punto di vista della distanza che si assottiglia tra il potere e i cittadini. I cittadini hanno molto più controllo sul potere politico. Leggi, documenti della pubblica amministrazione, dati dei cittadini in possesso delle pubbliche amministrazioni, devono essere resi accessibili a tutti. I cittadini possono poi trovare informazioni facilmente su qualsiasi argomento. È molto più difficile, in teoria, manipolare l’informazione. Con il web chiunque ha accesso a una mole potenzialmente infinita di informazioni che possono confutare la propaganda o le narrazioni ufficiali, di chi detiene il potere politico. Il web, sulla carta, è uno spazio pubblico immenso in cui troviamo opinioni di ogni tipo. Democrazia = confronto aperto tra idee diverse
Nei regimi autoritari i governi censurano, limitano la libertà e i contenuti che si possono trovare sul web. Di recente si è aperto un contenzioso tra la dirigenza di Google e molti suoi dipendenti. Google infatti aveva valutato la possibilità di tornare sul mercato cinese dopo che il governo cinese l’aveva bloccato e censurato. L’accordo tra Google e la Cina era il seguente: Google sarebbe tornato ad essere visibile in Cina, ma in cambio avrebbe oscurato dai risultati di ricerca ciò che poteva risultare scomodo alla propaganda del governo. Questa ipotesi di accordo ha indignato moltissime associazioni, anche governi di paesi occidentali, e gli stessi dipendenti di Google. Tale accordo sarebbe stato contrario ai principi basilari di tutela della liberà individuale che vigono nella maggior parte dei paesi occidentali e comunque in quelli democratici. L’intrinseca democraticità di internet è legata anche ad un altro fattore: la possibilità che c’è per gli hacker di violare i dati di stati, organismi di potere di varia natura. Wikileaks: anche le informazioni più riservate dei poteri pubblici o dei grandi poteri privati sul web non sono al sicuro, possono essere violate. Questo, anche se la violazione di queste informazioni va contro la legge, rappresenta comunque una garanzia di trasparenza e democraticità per i cittadini, perché costringe chi detiene il potere a operare con trasparenza.
Un villaggio «globale» senza più barriere e confini (Marshall Mc. Luhan, anni ‘ 70) Grazie ad Internet (e alla globalizzazione): ü Apertura a nuovi orizzonti e prospettive ü Conoscenza di culture diverse ü Confronto con persone che la pensano diversamente da noi Tribù online: le persone si confrontano solo con chi ha la loro stessa visione
Algoritmi sistemi di calcolo che stabiliscono come mettere in ordine i risultati di una ricerca su Google: • ciò che noi vediamo o non vediamo apparire davanti ai nostri occhi quando navighiamo • l’ordine di importanza dei post pubblicati Il risultato della mia ricerca non è affatto casuale, ma dipende da sofisticati sistemi di calcolo, che sono appunto gli algoritmi. Nel caso di Google, ad esempio, l’algoritmo principale si chiama Page. Rank. Come dice la parola stessa, dà un ranking alle pagine, assegna cioè una valutazione sulla base di una serie di parametri. Uno di questi è quanto quella pagina è stata linkata da altre pagine. Sebbene ci sia un diffuso movimento fatto da associazioni e anche da partiti politici e da governi che spinge da tempo per chiedere che questi algoritmi vengano resi pubblici, nei fatti oggi non è ancora così. Sono conosciuti solo alcuni parametri di massima che i giganti del web decidono di diffondere.
Parametri per gli algoritmi Google: quante volte quel contenuto è stato riportato in forma di link su altri siti Facebook: due grandi cambiamenti nell’algoritmo nel 2016 e 2018 • 2016: privilegia i post delle persone con cui interagiamo più spesso • 2018: privilegia i post degli amici rispetto a quelli delle testate giornalistiche Queste due modifiche, ovvero quella del 2016 e quella del 2018, vanno entrambe nella stessa direzione. Entrambe, cioè, fanno sì che sul mio newsfeed io veda apparire sempre più post delle persone con cui ho le maggiori interazioni. Ma chi sono le persone con cui ho più interazioni? Tendenzialmente quelle a me più affini, con cui condivido valori, una visione del mondo, che magari hanno le mie stesse opinioni politiche. Questa impostazione degli algoritmi contribuisce dunque a chiuderci in comunità ristrette di persone a noi affini (tribù online).
«camere dell’eco» Quando navigo sul web, per effetto dei filtri messi da questi algoritmi, non mi trovo in uno spazio aperto, bensì in uno spazio in cui sento sempre l’eco della mia voce. Le altre persone di cui vedo comparire i post la pensano esattamente come me su tutto, è come se sentissi sempre l’eco delle mie opinioni. «bolle dei filtri» Il termine “bolla” indica appunto un contesto in cui non si ha una reale percezione della realtà, ma ci si trova piuttosto in uno spazio protetto, in cui si scambia una porzione di realtà per l’intera realtà. Quella porzione di realtà, in questo caso, è costituita dalle persone che la pensano come me. Si apre così un paradosso: fuori da internet c’è molta più varietà di quella che trovo su internet, dove invece in teoria potrei trovare facilmente qualsiasi cosa con un clic.
Facebook e Google tengono traccia delle mie ricerche precedenti fatte sul web Mi propongono contenuti in linea con quelle ricerche Esempio 2: da elettore di sinistra, sono convinto che durante il periodo in cui Matteo Salvini era ministro dell’Interno gli sbarchi di migranti in Italia non erano diminuiti bensì aumentati. Se non vedo mai degli articoli di giornali di destra che confutano questa tesi e mi mostrano dei dati che attestano che invece, durante quel periodo, gli sbarchi di immigrati in Italia erano diminuiti, finirò per prendere per vera una fake news. Anche il profilo di chi effettua la ricerca, dell’utente, può influenzare i risultati della ricerca. Esempio 1: Se io sono un no-vax, se ritengo che i vaccini abbiano effetti pericolosi per la salute dei bambini e ho visitato molti siti che contestano la validità dei vaccini, se scrivo “vaccini” su Google ho più possibilità che come primi risultati della ricerca mi escano siti complottisti, siti no-vax, siti in linea con il mio pensiero sul tema e con le ricerche da me effettuate in precedenza. È una cosa positiva quella di poter mettere in questione le proprie opinioni di partenza e poter cambiare idea su certi argomenti. È un processo che ci fa progredire come esseri pensanti, come cittadini informati. Se però, a causa di quegli algoritmi, io vivo solo nella bolla e leggo solo articoli ed editoriali che confermano le mie idee, non avrò mai nemmeno la possibilità di cambiare opinioni, sarò destinato a restare sempre della stessa idea su ogni argomento, a non far lavorare lo spirito critico.
«bolle dei filtri» I filtri messi da Google fanno sì che sia più difficile imbattersi in un contenuto che confuti la nostra visione su un determinato tema. Questo perché Google sa chi siamo sulla base delle ricerche facciamo sul web e personalizza i risultati della nostra ricerca. «camere dell’eco» Sul web si crea quindi una comunità iper-coesa, tribale nel senso che fa lavorare poco il pensiero critico e cerca solo di consolidare i valori e le certezze di chi ne fa parte. E’ come se i giganti del web come Google e Facebook ci incapsulassero in un’identità definita, che resterà sempre uguale. Questi algoritmi rendono più difficile cambiare opinione, rendono più difficile cambiare in parte la nostra identità, far sì che la nostra identità si evolva. Il meccanismo che abbiamo visto all’opera, quindi, tanto con Google quanto con Facebook, è appunto quello della personalizzazione. Do all’utente ciò che è più affine all’utente, personalizzo il web per lui.
L’identità è sempre qualcosa in divenire, non è mai fissa… algoritmi Rendono più difficile scoprire cose in maniera casuale, ci tengono più fermi sui nostri gusti e le nostre preferenze attuali. Sotto altri aspetti ci semplificano la vita, perché è come se questi giganti del web (Facebook, Google, Amazon, Netflix e così via) scegliessero al posto nostro. C’è però una differenza sostanziale tra la personalizzazione che riguarda i prodotti da acquistare o i prodotti culturali da consumare come film e canzoni, e la personalizzazione quando ci riferiamo all’informazione, alle opinioni politiche. Se sui film o le canzoni può anche essere utile, per quanto riguarda l’informazione è invece molto pericolosa.
Il web è l’espressione massima dello sviluppo tecnologico. Eppure, questi meccanismi basati sugli algoritmi danno vita a delle comunità, quelle tribali, che sono invece in antitesi con la modernità e il progresso e rimandano a un concetto pre-moderno, quello appunto della tribù. È un ulteriore paradosso oltre al fatto che internet dovrebbe aumentare il tasso di democrazia, e invece in alcuni casi finisce col metterne a rischio il buon funzionamento, dando vita a un dibattito pubblico non informato, in cui si confrontano delle tifoserie, delle tribù. In questo libro, Pariser spiega come il meccanismo di tracciamento delle nostre ricerche online produce una sorta di “determinismo dell’informazione”: ciò che abbiamo cliccato in passato determina ciò che vedremo in futuro. Ci sono alcune società come Blue. Xai e Acxiom che raccolgono una enorme mole di dati su di noi sulla base delle nostre ricerche online e le vendono alle aziende, che a loro volta inviano messaggi pubblicitari mirati sulla base dei nostri profili (= targetizzazione degli utenti). Esempio: Acxiom, questa società che raccoglie i dati degli utenti, sa del 95% degli americani e di mezzo miliardo di persone nel mondo: nomi di familiari, indirizzi, movimenti di carte credito, medicinali usati e tantissimi altri dati.
Le informazioni, diversamente dai prodotti che acquistiamo, condizionano il modo in cui percepiamo il mondo e gettano le basi per le nostre esperienze e conoscenze condivise. Ciò significa che se non comprendiamo i problemi della società in cui viviamo, non possiamo agire con gli altri per cercare di risolverli. Un’informazione parziale, non completa, in cui riceviamo solo notizie che confermano le nostre opinioni di partenza, difficilmente è in grado di farci comprendere la vastità e la complessità dei problemi della società in cui viviamo. Di conseguenza, limiterà notevolmente la nostra capacità di agire.
Facebok, Google e Amazon sono intermediari «invisibili» La loro presenza non è percepita in maniera diretta come quella del telegiornale o del quotidiano su cui le persone si informavano prima. So che navigo su internet e magari nemmeno mi accorgo o nemmeno so che quelle mie ricerche sono condizionate dagli algoritmi di Google, che è Google a decidere che io possa trovare alcune informazioni più facilmente di altre. Allo stesso modo, socializzo su Facebook, ma magari nemmeno mi rendo conto o nemmeno so che Facebook, con i suoi algoritmi, ha una funzione di intermediario in questa mia opera di socializzazione. «I nuovi poteri forti» World without mind (2007), Franklin Foer Un altro paradosso: il web, in teoria, doveva garantire un accesso diretto alle informazioni. Google News è un aggregatore di notizie di Google che seleziona articoli dai vari siti dividendoli per categorie. Politica, cronaca, gossip e così via. È un enorme intermediario, perché milioni di persone usano tutti i giorni Google News per informarsi. Ma Google News, nella vastità di notizie e siti che esistono, fa una selezione sulla base, anche qui, di algoritmi. Quando entro su Google News vedo quindi ciò che l’algoritmo di Google ha ritenuto più rilevante in quella specifica giornata e su quello specifico tema.
«pregiudizio di conferma» credere a qualcosa che rafforza le nostre opinioni anche se è falso, perché il crederci è più facile e piacevole, non mette in discussione i nostri schemi mentali Il Fact checking è spesso del tutto inutile per contrastare questo fenomeno. Se un gruppo molto radicalizzato su un tema crede a qualcosa, anche se gli viene mostrato tramite dati e analisi che si tratta di un’informazione falsa, continua a crederci. Diversi studi hanno dimostrato addirittura che se a quel gruppo viene mostrato che l’informazione specifica è falsa, il gruppo crede ancora di più alla sua veridicità. Si rafforza cioè l’identità del gruppo perché si individua in chi ha smentito quelle tesi un nemico. La realtà e la verità dei fatti quindi spariscono, contano solo i pregiudizi della persona o del gruppo. Ci sono importanti siti giornalistici che hanno chiuso le loro sezioni di fact checking, proprio perché si erano rivelate poco utili a migliorare il dibattito pubblico. Il Washington Post, tra i più importanti giornali al mondo, aveva una sezione dedicata al fact checking che a un certo punto ha deciso di non portare più avanti, proprio perché le persone, su internet, credono a quello che vogliono credere e il fact checking invece di farle ragionale paradossalmente rafforza le loro posizioni di partenza.
algoritmi Interazioni (vengono Personalizzazione privilegiati contenuti che (vengono privilegiati contenuti simili a quelli che ottengono molte interazioni, condivisioni) abbiamo fruito in passato) Entrambi questi principi, di base, non contribuiscono a far progredire in meglio la nostra capacità di ragionale e, a livello sistemico, la qualità del dibattito pubblico. Una notizia su dei gattini che fanno le capriole, per la sua leggerezza, farà molte più condivisioni di un reportage dalla Siria. Ma difficilmente vedere la notizia sui gattini che fanno le capriole mi porterà a riflettere e a diventare un cittadino più consapevole, mentre il reportage sulla Siria lo farebbe, ma magari nemmeno lo vedo perché avendo fatto poche interazioni non viene premiato dall’algoritmo di Facebook.
Esiste un rimedio? Nel suo libro, Eli Pariser indica una possibile direzione per superare il modo in cui funzionano attualmente gli algoritmi di questi giganti del web. Pariser fa l’esempio di Netflix: se sono un accanito consumatore di commedie romantiche, la piattaforma di contenuti streaming mi proporrà, per mezzo del suo algoritmo, altre commedie romantiche, intrappolandomi in un’identità fissa, stabilita una volta per tutte e non suscettibile di cambiamenti. Diversamente, se l’algoritmo di Netflix iniziasse a propormi sì commedie romantiche, ma anche film come Blade Runner, resterebbe aperta la possibilità di falsificare l’idea che la mia identità sia quella di una persona a cui piacciono solo le commedie romantiche. L’identità potrebbe diventare così maggiormente sfaccettata, e per fare ciò basterebbe l’inserimento di alcuni elementi selezionati casualmente e non riconducibili alle mie ricerche precedenti all’interno del pacchetto che mi viene proposto dall’algoritmo.
2014 Le scoperte avvengono per caso, e tanti interessi che sviluppiamo nella nostra vita nascono da incontri casuali, non programmati. Attualmente gli algoritmi rendono difficile fare questo tipo di incontri. ll Centre for Civic Media del MIT ha sperimentato, nel corso degli anni, soluzioni tecnologiche alternative in grado di modificare le modalità attraverso cui si naviga in rete. Tra i vari progetti: la creazione di estensioni di browser che orientino la navigazione dell’utente verso contenuti eterogenei rispetto a quelli che visita abitualmente. Non si tratta dell’unico tentativo che va in questa direzione. Esistono infatti servizi di navigazione come Stumble. Upon e motori di ricerca come Duck. Go che agiscono sulla base dello stesso principio, favorendo cioè la navigazione random tra pagine web e prevedendo l’assenza di filtri personalizzati come impostazione di default. L’idea alla base di tutti questi tentativi è che sia possibile, attraverso una diversa configurazione degli algoritmi, sottrarre ai giganti del web il “monopolio della relazione e dell’informazione”.
Il legame tra media digitali e democrazia, il concetto di democrazia online o di e-democracy Ø Democrazia diretta: i cittadini non votano solo per eleggere i loro rappresentanti, ma sono direttamente coinvolti nell’elaborazione e nell’approvazione delle leggi. Ø Democrazia rappresentativa: i cittadini eleggono i loro rappresentanti in parlamento, ma poi delegano a loro le decisioni sulle politiche da attuare. Un modello di democrazia diretta, in Italia, è in parte rappresentato da quello che fa il Movimento Cinque Stelle. Il Movimento Cinque Stelle infatti ha una piattaforma che si chiama Rousseau: qui gli iscritti al Movimento vengono chiamati in causa, in alcune occasioni, per prendere delle decisioni che saranno poi vincolanti per i politici del Movimento. Nell’ultimo anno, ad esempio, il Movimento Cinque Stelle è passato dall’alleanza di governo con la Lega a quella con il Partito Democratico. Prima di avviare questo nuovo governo con il Partito Democratico, il cosiddetto governo Conte bis, il Movimento 5 Stelle ha fatto decidere i suoi iscritti. In teoria, gli iscritti avevano la facoltà di bloccare l’alleanza con il Partito Democratico. Altre volte, gli iscritti vengono interpellati su questioni che riguardano proposte programmatiche.
Un modello di democrazia diretta soltanto “parziale” Tuttavia, gli iscritti non vengono interpellati su ogni singola legge che il governo, di cui il Movimento Cinque Stelle fa parte, si accinge ad approvare. Sarebbe del resto praticamente impensabile fare in quel modo, coinvolgere i cittadini su ogni decisione politica, su ogni legge. Ciò che fa il Movimento Cinque Stelle è una trasposizione in rete del meccanismo delle primarie che altri partiti, in Italia e fuori dall’Italia, organizzano fuori dalla rete, con gli elettori che vanno fisicamente a votare. Online, è molto più facile organizzare consultazioni frequenti. Il web e la democrazia diretta hanno un legame abbastanza stretto, nel senso che è certamente più semplice praticare la democrazia diretta su internet che fuori da internet.
Il Referendum Un’altra forma di democrazia diretta «offline» 1. Referendum consultivi, il cui risultato non vincola lo stato o la regione o il comune che li ha organizzati a ratificare la decisione dei cittadini. Sono referendum che vengono organizzati per chiedere ai cittadini il loro orientamento su determinate questioni. La politica può però scegliere di decidere diversamente rispetto all’esito del referendum. Un referendum consultivo che si è svolto di recente in Italia è quello sulle autonomie di Lombardia e Veneto. Il referendum si è tenuto il 22 ottobre 2017, e veniva chiesto ai cittadini di Veneto e Lombardia se erano favorevoli al trasferimento di alcune competenze dello stato alle loro regioni. Nonostante la vittoria del sì in entrambe le regioni, il governo non ha nessun obbligo di fare una legge che tenga conto di questo esito, tanto che ancora si sta discutendo a livello politico se fare questa legge e come farla.
2. Referendum abrogativi, quando il parlamento e il governo fanno una legge e 500 mila cittadini o 5 consigli regionali possono chiedere di sottoporre quella legge a referendum con l’obiettivo di abrogarla. In quel caso il risultato è vincolante: se vince il sì all’abrogazione della legge, quella legge va abrogata. 3. Referendum constituzionali, quando viene approvata dal parlamento una modifica alla Costituzione, se la modifica è passata con un voto inferiore ai due terzi del parlamento si va automaticamente a referendum, altrimenti possono chiederlo sempre 500 mila elettori o 5 consigli regionali o un quinto dei parlamentari di una delle due Camere. Anche in questo caso, se la modifica alla Costituzione viene bocciata, quella modifica non entra in vigore. In Italia si è tenuto un importante referendum costituzionale il 4 dicembre 2016. Il governo presieduto da Matteo Renzi aveva predisposto una riforma organica della Costituzione che è stata sottoposta al giudizio degli elettori. Ha vinto il «No» alla riforma, che quindi non è entrata in vigore.
4. Leggi di iniziativa popolare: i cittadini possono presentare una legge al parlamento, redatta in articoli, se raccolgono almeno 50 mila firme. Il parlamento, però, non ha nessun obbligo di prendere in esame e votare quella legge. Può decidere liberamente se farlo o meno. • Quale delle due forme è migliore tra democrazia diretta, che ha dei legami più stretti con internet e la rete, e democrazia rappresentativa? • Esistano o meno dei limiti all’esercizio della democrazia diretta? • Per funzionare correttamente, uno stato deve mettere dei limiti all’esercizio della democrazia diretta da parte dei cittadini?
Democrazia deliberativa I limiti della democrazia diretta: “Deliberazione” = viene presa una decisione sulla base di un’analisi di merito sulla questione su cui si decide: è una decisione informata, ponderata. • Le opinioni degli elettori possono essere facilmente manipolate • Gli elettori stessi decidono sulla base delle emozioni e dell’istinto e non della ragione La maggior parte dei cittadini non ha il tempo o la voglia o le risorse per decidere in maniera informata e ponderata. • Le opinioni possono essere condizionate La democrazia deliberativa è possibile. dalle fake news • Gli elettori spesso esprimono le proprie preferenze senza essere sufficientemente informati James Madison James Fishkin
L’esperienza dei “deliberative pools” Si tratta in sostanza di sondaggi che vengono effettuati dopo che le persone sono state informate in maniera approfondita sulla materia su cui devono esprimere la loro opinione. Vengono organizzate delle vere e proprie giornate informative, dei consessi in cui vengono invitate delle persone, che durante la giornata vengono informate su uno specifico tema. Queste persone durante la giornata ascoltano argomenti pro e contro una determinata questione, e alla fine della giornata esprimono il loro voto. Negli utimi 20 anni, diversi esperimenti hanno dimostrato come le opinioni delle persone possano cambiare in maniera drastica se quelle stesse persone vengono correttamente informate sul merito delle questioni. James Fishkin: «Le persone penserebbero se messe nelle migliori condizioni possibili per poter riflettere in profondità su una determinata problematica. »
Vennero convocati per un’intera giornata 160 cittadini, scelti tra i simpatizzanti del partito. Questi cittadini passarono un’intera giornata ad ascoltare le argomentazioni dei candidati sui loro programmi, con l’ausilio di moderatori e di materiale informativo scritto sulle singole proposte. Nel 2006 venne organizzato un esperimento di democrazia deliberativa dal Pasok, il principale partito greco di centrosinistra, che adesso è caduto abbastanza in disgrazia ma che fino a qualche anno fa era praticamente il principale partito della Grecia. Il Pasok organizzò delle elezioni primarie per selezionare, all’interno del partito, il proprio candidato sindaco per le elezioni comunali ad Atene. Queste elezioni primarie vennero organizzate in una maniera molto particolare… • All’inizio della giornata, tutti i partecipanti erano stati chiamati a compilare un questionario, in cui dovevano anche spiegare quanto conoscessero i vari candidati. • Poi le persone passarono la giornata ad ascoltare le proposte dei candidati su vari temi, esposte in maniera dettagliata, con pro e contro. • Al termine della giornata ai partecipanti fu chiesto di esprimere il loro voto, di scegliere cioè il candidato secondo loro più adatto a rappresentare il Pasok alle elezioni comunali di Atene. Il risultato fu sorprendente: il candidato che ottenne maggiore consenso fu quello che, nelle risposte ai questionari forniti all’inizio della giornata, risultava essere il meno conosciuto dai partecipanti.
Comunità virtuali La rete permette la formazione di “comunità virtuali”, ovvero gruppi online accomunati da interessi, gusti, comportamenti di consumo, che con la rete possono organizzarsi e mobilitarsi per raggiungere un obiettivo. Si verifica quindi, grazie a internet, il passaggio da comunità di tipo ascrittivo a comunità di tipo affiliativo. Comunità di tipo ascrittivo, legate cioè ad appartenenze territorialo, familiari o religiose Comunità di tipo affiliativo, in cui ci si associa su base volontaria e a partire da un interesse comune Le comunità virtuali di tipo affiliativo possono organizzarsi anche per sostenere delle cause pubbliche. Oggi moltissime manifestazioni di protesta vengono organizzate in rete, attraverso le chat e i gruppi Facebook (es. la primavera araba). 1994
Internet e Facebook, per quei giovani, rappresentavano anche importanti metafore della rivolta. I giovani si autodefinivano “la generazione di Facebook”, facendo riferimento al fatto che non erano più gli antiquati egiziani del passato. La rivolta, inoltre, non è esplosa in modo improvviso. Ci sono stati importanti contatti preliminari, sia online che offline, tra attivisti egiziani e attivisti con opinioni simili che operavano in altri paesi.
Il problema del «digital divide» «La partecipazione delle persone ad attività di gruppi che si formano online è molto disomogenea. Le pratiche partecipative sono diffuse soprattutto tra persone con livelli di studio e di reddito medio-alto, mentre lo sono meno tra chi ha redditi bassi e titoli di studio più bassi. » Nick Coudry, Media, Society, World: Social Theory and Digital Media Practice Internet dia vita al fenomeno del cosiddetto “Slacktivism”, definito anche “attivismo da poltrona”. Yevgeny Morozov «Il legame tra l’uso della rete e aumento della partecipazione politica non è mai stato riscontrato nella pratica in maniera univoca. Ci sono contesti in cui questo legame esiste, ad esempio le primavere arabe, ma per il resto è anche vero che, in altri contesti, gli studi mostrano come i soggetti che partecipano alle iniziative online sono tendenzialmente quelli che avevano già esperienze di attivismo civico offline. » Emanuela De Blasio, Democrazia digitale (2014)
Che cos’è lo «Slacktivism» ? Basta un click, un mi piace o un post su Facebook, e le persone si convincono del fatto che stanno partecipando al dibattito pubblico. Molte persone interpretano un post scritto su Facebook come una forma di attivismo. Chiaramente però, in molti casi, si tratta solo di una forma di esibizionismo personale. Questa possibilità di esprimere la propria opinione sui social può favorire la tendenza al narcisismo, che può portare all’egoismo e a non saper ragionare nell’ottica del bene comune. Questo può avere anche degli effetti positivi: può rafforzare la coscienza civica di certi individui, spingerli a interessarsi di questioni sociali. Poter esprimere in un ambiente semi-pubblico come un social network la propria opinione è anche una grande opportunità dal punto di vista esistenziale: un’opportunità di poter esprimere se stessi, di potersi sentire realizzati in quanto la nostra opinione comunque viene espressa, magari attraverso un post scritto letto potenzialmente da molte persone.
È stata la televisione il primo medium a creare dei meccanismi di partecipazione dal basso delle persone, che poi sono esplosi con il web. Il dibattito pubblico televisivo favorisce anche altre tendenze come la personalizzazione, la tendenza cioè a far emergere le figure di leader politici che bucano lo schermo, sui quali si concentra l’attenzione del pubblico, che magari si confrontano tra loro in duelli televisivi. Tutto questo insomma porta a una comunicazione politica spettacolarizzata, incentrata sui leader e sulla personalizzazione del discorso politico, che lascia meno spazio ai contenuti, alla discussione sul merito delle questioni, che si incentra più sulle persone che sui partiti. Pensiamo al ruolo che hanno avuto in Italia i talk show politici come prima forma di sfera pubblica mediatica, dove va in scena il confronto tra le opinioni contrapposte dei vari leader. Il dibattito pubblico inoltre, nei talk show televisivi, è fortemente spettacolarizzato. Si può dire che prevale la dimensione emotiva su quella razionale, una tendenza che come abbiamo visto è tipica anche del web. Anche gli spettatori di un talk show televisivo, proprio per il carattere urlato e spettacolarizzato dei dibattiti, possono avere la tendenza a radicalizzare le loro opinioni e a seguire una logica di tipo tribale.
Nella storia italiana, le trasmissioni televisive politiche hanno contribuito ad alimentare il modello della democrazia diretta a scapito di quello della democrazia rappresentativa. Questo perché è proprio attraverso la televisione che a un certo punto è passato il messaggio che l’opinione di un cittadino comune potesse valere quanto quella di un rappresentante politico. Le prime trasmissioni televisive a mettere al centro della scena i cittadini e le loro opinioni, a creare un modello televisivo di democrazia diretta, sono andate in onda verso la fine degli anni Ottanta. Una prima importante trasmissione di questo tipo è stata “Samarcanda”, talk show condotto da Michele Santoro, conduttore televisivo che in Italia ha aperto la strada al modello del talk show in cui i cittadini semplici sono al centro della scena, partecipano direttamente, dialogano con i politici. Samarcanda ha portato in televisione: • collegamenti con piazze gremite di cittadini che esponevano le loro opinioni • servizi realizzati per strada, in cui si chiedeva alle persone la loro opinione su fatti politici • telefonate in diretta degli spettatori, che potevano intervenire e fare domande o anche muovere critiche ai politici in studio E’ una dinamica simile a quella dei social network, in cui persone senza particolari competenze o ruoli possono esprimere liberamente la loro opinione su un tema ed essere lette da centinaia o migliaia di altre persone.
Un modello molto diverso di talk show politico, che è invece una tipica espressione non della democrazia diretta ma di quella rappresentativa, è “Porta a Porta”, il talk show condotto da Bruno Vespa. • Un dibattito tra esponenti politici in cui il pubblico non è mai coinvolto; • L’ambientazione e la scenografia sono rassicuranti, è un’ambientazione molto istituzionale e poco popolare; • Il conduttore a volte fa delle interviste a tu per tu con i politici, nelle quali però raramente li mette in difficoltà. È un modello simile a quello delle tribune politiche andavano in onda negli anni Sessanta e Settanta sui canali Rai, in cui appunto i politici facevano dei comizi in cui si rivolgevano in maniera quasi pedagogica ai cittadini, spiegavano le proposte, ma non c’era un dialogo con gli elettori. Il talk show alla Michele Santoro è l’espressione televisiva del modello di democrazia diretta che poi confluirà in rete, sui social network, mentre il talk show alla Bruno Vespa esprime il modello della democrazia rappresentativa in cui il pubblico fa soltanto da spettatore.
Una fusione tra televisione e web Gli algoritmi dei giganti del web riducono gli spazi di confronto tra opinioni differenti, portano le persone a interagire solo con chi la pensa come loro. I talk show politici alimentano dinamiche di democrazia diretta anche perché coinvolgono il pubblico in sondaggi e votazioni live. E questo, spesso, avviene attraverso i social network. Inoltre, un talk show in cui gli ospiti si contrappongono in una discussione approfondita sui contenuti, e in cui poi i telespettatori, magari attraverso i social, sono chiamati a dare la loro preferenza a uno degli ospiti, andrà maggiormente in direzione di un modello di democrazia deliberativa. Allo stesso tempo, il web permette forme di partecipazione più ampie rispetto al passato, come esprimere la propria opinione sui social network. La rete, e in particolare i social network, aumentano sicuramente la quantità della democrazia, permettono alle persone di votare ed esprimere preferenze molto più spesso che in passato. Col tempo i talk show televisivi e internet si integrano sempre di più, e lo fanno proprio in relazione a questo modello di democrazia diretta. Inizia l’epoca della cosiddetta “social tv”, ovvero dell’integrazione tra la televisione e una serie di funzioni e di pratiche tipiche dei social network.
Alcuni programmi offrono possibilità di seguire le puntate in streaming, accedere a contenuti extra, interagire tramite la pagina Facebook o gli account twitter. Alcuni utilizzano la rete per promuovere attività accessorie, usufruite in momenti distinti da messa in onda. In altri internet è utilizzato durante messa in onda, in alcuni casi non interferendo col programma (pensiamo al live-blogging su twitter, ai commenti su Facebook, alle votazioni online) in altri sì (ad esempio in studio viene data lettura in trasmissione di risultati di sondaggi, oppure i tweet passano nella parte bassa del teleschermo). Esempio di «Social Tv» : nella trasmissione televisiva Carta Bianca, condotta da Bianca Berlinguer su Rai 3, ci sono degli ospiti che si contrappongono su alcuni argomenti, spesso due ospiti che hanno una opinione differente su un certo tema. Da casa, i telespettatori possono votare andando sul sito del programma, e dire quale dei due ospiti supportano. I risultati di questo sondaggio vengono letti in tempo reale, durante la trasmissione.
Ci sono anche delle app che consentono di interagire in diretta con il programma televisivo e permettono ai telespettatori di votare, addirittura di applaudire da casa. Esempio: Sky Italia ha organizzato più volte dei confronti tra i candidati alle elezioni. Nel 2013 ci furono le primarie per la segreteria del partito, e a scontrarsi c’erano Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Giuseppe Civati. Sky, anche quell’anno, ospitò il confronto televisivo tra i tre candidati. Durante la messa in onda del confronto, i telespettatori hanno avuto la possibilità di utilizzare diversi strumenti della social tv. Avevano a disposizione due app: una chiamata “voting”, che permetteva di rispondere in tempo reale alla domanda: “Chi ti sta convincendo di più? ”. I risultati del sondaggio fatto attraverso questa app venivano poi letti in diretta dal conduttore. L’altra app funzionava come un vero e proprio applausometro: i telespettatori potevano esprimere in tempo reale assenso o dissenso nei confronti di chi stava parlando in quel momento, cliccando sull’icona di un pollice rivolto verso l’alto o verso il basso.
Il telespettatore adesso diventa anche attore Guardare la televisione non è più, necessariamente, l’attività passiva per eccellenza. Si va sempre di più verso una fusione tra la tv e le piattaforme social in nome del coinvolgimento del pubblico, che in certi frangenti può implicare una qualche forma di attivismo o almeno di partecipazione a questioni di natura civica e politica. Chi esprime un voto guardando un programma televisivo potrebbe essere definito come un “attivista da poltrona”, non disposto a tramutare quella partecipazione allo show televisivo in una partecipazione effettiva offline nella sfera pubblica. Si tratta, secondo questo punto di vista, di una forma di consumo, magari con qualche venatura in più di impegno civico, ma in realtà sempre consumo. Chi guarda i talk show televisivi, sempre secondo questa interpretazione, sarebbe insomma qualcuno che vuole rilassarsi e svolgere un’attività con un grado di impegno molto basso, convincendosi però di essere interessato a cose serie, al dibattito pubblico, alla politica.
Pro e Contro della «Social TV» Contro Pro • Un basso grado di riflessività ad esempio, ovvero il fatto che l’assenso o il dissenso, il voto, vengano espressi seguendo un dibattito molto spettacolarizzato • Con uno sforzo minimo, si può seguire un dibattito politico abbastanza approfondito • I tempi sono molto rapidi: viene dato un minuto e mezzo a ciascun candidato per rispondere alla domanda su un tema specifico • La proposta dei candidati deve essere fatta capire all’elettorato in forma semplificata, quindi anche ricorrendo a esagerazioni, a slogan o a formule propagandistiche • C’è lo stimolo del coinvolgimento, il fatto che c’è la possibilità di votare, che l’esito del voto verrà letto in diretta durante il dibattito • Il format televisivo è percepito dallo spettatore istintivamente come leggero, come una forma di spettacolo Bisogna leggere i giornali, informarsi quotidianamente, approfondire. Tuttavia, la social tv resta un compromesso tutto sommato accettabile
Queste forme di partecipazione producono un cittadino “monitorante”, più consapevole del proprio ruolo. L’impegno politico che esercita attraverso i social, la social tv, è chiaramente limitato, ma ciò permette comunque di configurarlo come un cittadino presente, che monitora il potere, che non subisce in maniera ignara tutte le scelte politiche ma che è in grado di osservarle e valutarle. Queste forme di partecipazione riducono la cittadinanza e la rappresentanza democratica a mero entertainment, a spettacolo. Non solo, ma la televisione, coinvolgendo i cittadini nelle forme che abbiamo visto anche attraverso i social, promuoverebbe comportamenti qualunquistici e antipolitici. Robert Putnam Michael Schudson, The Good Citizen Il fatto che sui social tutti possano dire la loro, che sia pieno di teorie complottiste, che si svalutino le competenze, sono tutte derive pericolose che sarebbero determinate proprio da un eccesso di partecipazione della gente comune al dibattito pubblico, senza che avvenga un filtro dato dalla competenza. I telespettatori non possono solo intervenire e votare, ma spesso gli viene concesso di attaccare o addirittura ridicolizzare i politici presenti in studio. Si dà quindi lo stesso valore all’opinione di una persona comune e a quella di un politico. Questo determinerebbe una automatica svalutazione della politica, dei rappresentanti politici, e più in generale delle competenze.
La Social TV e il concetto di cittadinanza La cittadinanza non va intesa esclusivamente come un concetto giuridico. Non sono cittadino solo se ho i documenti che attestano che lo sono. Sono cittadino a pieno titolo se agisco da cittadino, se sono coinvolto in maniera fattuale nella vita della mia comunità, se me ne interesso. Il concetto di cittadinanza, così inteso, è strettamente legato al concetto di identità, all’appartenenza alla vita della propria comunità. Esisterebbe quindi una dimensione “affettiva” della cittadinanza, che va oltre i meri diritti giuridici. “Anche i social network sono importanti nella ridefinizione di questo concetto di cittadinanza in senso affettivo. Facebook per esempio incoraggia a vedere la sfera pubblica attraverso le lenti della sfera privata. Partecipo alla sfera pubblica esprimendo me stesso come individuo. Facendo questa cosa sto partecipando alla sfera pubblica, ma mi sto anche definendo come individuo, sto contribuendo a definire la mia identità.
La cittadinanza «emotiva» “Individualised collective action”: l’attivismo nella sfera pubblica si intreccia con lo stile di vita privato (Marichal) “Lifestyle politics”: un attivismo sociale e politico legato allo stile di vita e alla definizione della propria identità. (Giddens) Questo tipo di azione nella sfera pubblica è tipico della nostra epoca e si distingue dalla “collectivist collective action”, l’azione civica e politica che si realizzava prima della nascita del web. E’ una prospettiva molto simile a quella del «networked individualism» , che lega la definizione dell’individualità con la partecipazione ai network sociali. Per questo motivo “individualized collective action” è un’espressione che ci sembra una contraddizione in termini ma che in realtà non lo è.
Cittadinanza “affettiva” L’aggettivo rimanda al carattere fortemente emotivo ed emozionale che ha a che fare con l’attività sui social network e sul web in generale Queste nuove forme di partecipazione si distinguono fortemente dalla partecipazione all’interno dei partiti o delle organizzazioni tradizionali all’interno delle quali si faceva e in parte si fa ancora politica: i partiti ma anche i sindacati, le associazioni. Non è che questi corpi intermedi scompaiano, ma vengono affiancati in maniera significativa da forme individualizzate di partecipazione alla vita pubblica, forme di lifestyle politics che creano una serie di spazi cosiddetti “subpolitici”, in cui vita privata e vita pubblica si intrecciano. Alcuni spazi della rete, con risposte, controrisposte e così via, possono essere considerati una “sfera pubblica immateriale”. Habermas vede questi spazi come espressione di una “sfera pubblica effimera”, in cui si sommano conversazioni episodiche, casuali, prive di una reale sostanza civica e politica… Resta il fatto che, anche per quanto riguarda i processi democratici, il web ha prodotto una vera e propria rivoluzione. La cittadinanza al tempo di internet assume diventa più porosa, più interconnessa con altri ambiti del vivere sociale Mettere “mi piace” su un post, condividere sul proprio profilo una campagna di advocacy, promuovere una petizione, sono azioni quotidiane e individualizzate, informali e frammentate. Queste azioni portano a un coinvolgimento nella sfera pubblica meno istituzionalizzato rispetto al passato, che lascia spazio all’espressione individuale dell’impegno che si combinano con la prassi della vita quotidiana.
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