CATECHESI OSPITI CENTRO ANZIANI OPERA DON GUANELLA BARI
CATECHESI OSPITI CENTRO ANZIANI OPERA DON GUANELLA - BARI TESTIMONI E ARALDI DELLA SPERANZA Meditazioni bibliche Vivere bene il tempo della vecchiaia
Il tema biblico della longevità richiama, senza possibilità d’essere eluso, quello della morte.
Certo, la pastorale e la spiritualità della terza età non possono configurarsi nè prevalentemente nè tanto meno esclusivamente come annuncio di morte.
D’altra parte la fede cristiana sprigiona precise indicazioni circa l’atteggiamento da assumere responsabilmente di fronte alla morte.
La Parola di Dio rivela gradualmente, lungo la storia della salvezza, il significato della morte, proponendo così l’atteggiamento morale e spirituale da prendere di fronte ad essa: dalla serenità alla paura, dalla paura alla speranza.
Spirò e morì in felice canizie L’atteggiamento spirituale che ci è suggerito dai documenti biblici più antichi è quello della serenità, della rassegnata pacatezza.
In conformità con la visione prevalentemente collettivistica e cosmica dell’esistenza, la morte per gli antichi padri non è un trauma, ma un fatto normale, da accettare senza tragedie: l’unica preoccupazione è il non raggiungere la vecchiaia, il non lasciare una discendenza, il non avere una sepoltura dignitosa.
Cosi Abramo: «Spirò e morì in felice canizie, vecchio e sazio di giorni, e si riunì ai suoi antenati. Lo seppellirono i suoi figli, Isacco e Ismaele, nella caverna di Macpela, nel campo di Efron» (Gn 25, 8 -9).
È la stessa scena, descritta con eguale tranquillità, della morte di Isacco (cfr. Gn 35, 29) e di Giacobbe (cfr. Gn 49, 33). 28 E i giorni d’Isacco furono centottant’anni. 29 E Isacco spirò, morì, e fu raccolto presso il suo popolo, vecchio e sazio di giorni; ed Esaù e Giacobbe, suoi figliuoli, lo seppellirono. 29 Poi diede loro quest’ordine: «Io sto per essere riunito ai miei antenati: seppellitemi presso i miei padri nella caverna che è nel campo di Efron l’Hittita, 30 nella caverna che si trova nel campo di Macpela di fronte a Mamre, nel paese di Canaan, quella che Abramo acquistò con il campo di Efron l’Hittita come proprietà sepolcrale. 31 Là seppellirono Abramo e Sara sua moglie, là seppellirono Isacco e Rebecca sua moglie e là seppellii Lia. 32 La proprietà del campo e della caverna che si trova in esso proveniva dagli Hittiti» . 33 Quando Giacobbe ebbe finito di dare questo ordine ai figli, ritrasse i piedi nel letto e spirò e fu riunito ai suoi antenati.
Più tardi, affinandosi il senso individuale ma restando avvolto nell’oscurità il mistero dell’oltretomba, la morte genera negli ebrei paura, rivestendosi di una dimensione drammatica.
Credono, è vero, nella sopravvivenza dell’uomo, ma è un’esistenza nebbiosa ed esangue quella dello schéol, dove non si è neppure in grado di cantare le lodi di Jahvè: «Volgiti, Signore, a liberarmi, salvami per la tua misericordia. Nessuno tra i morti ti ricorda. Chi negli inferi canta le tue lodi? » (Sal 6, 5 -6).
Cosi gli ebrei, fortemente attaccati alla vita pratica, ricevono ben poca consolazione dall’idea della sopravvivenza, e Qohelet può concludere con amara saggezza: «Certo, finchè si resta uniti alla società dei viventi c’è speranza: meglio un cane vivo che un leone morto» (Qo 9, 4).
Non potendo capire con chiarezza dove mai sbocchi il mistero della morte, si tenta almeno di appurarne l’origine: la morte è legata al demonio e al peccato.
L’intuizione si trova già nel libro della Genesi e trova sviluppo nel libro della Sapienza: «Si, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece ad immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono» (Sap 2, 23 -24).
E ha un’eco anche nella riflessione dell’apostolo Paolo: «Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perchè tutti hanno peccato» (Rm 5, 12).
La morte ha colpito anche il Figlio di Dio fatto uomo, il quale di fronte ad essa ha provato «paura, tristezza, angoscia» . Matteo 26: 37 E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Marco 14: 33 Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia.
Ma sulla croce Gesù ha letteralmente rivoluzionato il significato della morte, rendendo possibile al credente l’atteggiamento spirituale della speranza.
DOV’È, O MORTE, LA TUA VITTORIA? Gesù ci parla della sua morte come di un’ora attesa da tutta la sua vita: è la sua «ora» , come dice Giovanni 7: 30 Allora cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora. Giovanni 8: 20 Queste parole Gesù le pronunziò nel luogo del tesoro mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora. Giovanni 12: 23 -28 23 E Gesù rispose loro dicendo: L’ora è venuta, che il Figliuol dell’uomo ha da esser glorificato. 24 In verità, in verità io vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto. 25 Chi ama la sua vita, la perde; e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna. 26 Se uno mi serve, mi segua; e là dove son io, quivi sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l’onorerà. 27 Ora è turbata l’anima mia; e che dirò? Padre, salvami da quest’ora! Ma è per questo che son venuto incontro a quest’ora. 28 Padre, glorifica il tuo nome! Allora venne una voce dal cielo: E l’ho glorificato, e lo glorificherò di nuovo! Giovanni 13, 1 1 Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Giovanni 17: 1 -26 1 Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te.
Inoltre, Gesù presenta la sua morte non come fatto isolato, ma intimamente legato con la sua risurrezione come l’ora del passaggio dal mondo al Padre (Gv 13, 1): non tanto punto di arrivo, quanto punto di partenza.
E ancora: Gesù ci presenta la sua morte-risurrezione in stretto rapporto con il nostro destino personale: è per noi che Gesù deve morire e risorgere (Mt 20, 26 -28).
Che significa: per noi? La risposta ci viene da Paolo, per il quale la morte di Cristo ha spogliato dei suoi diritti la nostra morte: la morte come castigo del peccato e ormai un fatto liquidato.
«La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!» (1 Cor 15, 55 -57).
Coloro che credono in Gesù ormai hanno la morte-castigo alle loro spalle (cfr. 2 Cor 5, 14). La morte non dovrebbe più fare alcuna paura: «Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perchè se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore» (Rm 14, 7 -8).
Non solo la morte non fa più paura, ma è desiderabile: «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. . . Sono messo alle strette infatti da queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; dall’altra, è più necessario per voi che io rimanga nella carne» (Fil 1, 21 -24).
La morte «cristiana» diventa, allora, non solo una realtà diversa dalla morte biologica, ma addirittura antitetica, secondo la strana affermazione del libro della Sapienza che nega la realtà della morte per i giusti: «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero…» . (Sap 3, 12).
L’idea della non-morte per i giusti è ripresa dal quarto Vangelo, per il quale l’Eucaristia non è soltanto il principio della risurrezione, ma è anche il segreto per evitare la morte: «Questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia» (Gv 6, 50).
La morte biologica appartiene dunque al mondo irredento e chi è redento non ne è dominato e non sperimenta la sua natura propria di sfacelo e di dissoluzione, anche se muore secondo la considerazione meramente esteriore.
SONO LE PAROLE DEL SIGNORE AD ATTESTARLO: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà, chiunque vive e crede in me, non morrà in
Da questi accenni biblici emerge l’impegno dell’anziano di fronte alla morte. Se credente, non può limitarsi a pensare al morire come ad una semplice legge universale dell’esistenza: «Tu fai ritornare l’uomo in polvere e dici: “Ritornate, figli dell’uomo”» (Sal 90, 3).
Neppure può accontentarsi di attendere la morte come una liberazione da acciacchi umilianti e da tristezze che rendono la vita un peso a se e agli altri: «O morte, è gradita la tua sentenza all’uomo indigente e privo di forze, vecchio decrepito e preoccupato di tutto» (Sir 41, 2).
È chiamato piuttosto a crescere nella fede e a maturare nella speranza, che sole sanno generare sentimenti di serenità e di pace: «Se questa vita transitoria è un bene, tuttavia la morte gli recherà un guadagno più grande»
Se il più bello ha da venire, allora cesserà di rivolgersi indietro in amari e vani rimpianti, è col cuore si protenderà innanzi (cfr. Fil 3, 12 -l 4).
Se il suo corpo intorpidito si fa di giorno in giorno più indocile ai comandi dello Spirito, sa che i sintomi affliggenti dell’avanzante senescenza rappresentano la corrosione di «questa nostra tenda» terrena, mentre ce ne viene preparata un’altra indistruttibile nei cieli (2 Cor 5, 1).
Sa, infine, che la partecipazione al mistero pasquale della divina risurrezione, posta in lui come un seme dal Battesimo, sta per realizzarsi in una pienezza immensa.
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