CAMPANIA MONTI STORIa CULTURE La Tabula Peutingeriana una
CAMPANIA MONTI STORIa CULTURE
La Tabula Peutingeriana è una copia del XII-XIII secolo di un'antica carta romana che mostra le vie militari dell'Impero romano. Qui appaiono evidenziate le città e altri luoghi notevoli. Hofbibliothek di Vienna Codex Vindobonensis.
Riflettiamo sulle parole CAMPANIA MONTI STORIA CULTURE alla ricerca di un possibile collegamento… Scopriremo che tra monti e Campania c’è un conflitto quasi ossimorico…. . Partiamo dalla etimologia e dalla città di Capua…
Il primo documento della lingua italiana : il placito di Capua a. D. 960
Capua (in osco kapu) , in latino Capŭa, in greco Καπύη), oggi indicata con Capua antica è stata una città sorta nel IX secolo a. C. sul luogo dell'attuale Santa Maria Capua Vetere. La città era considerata una delle più grandi dell'Italia antica, dopo Roma. Fu fondata… una seconda volta, secondo Strabone, dagli Etruschi nel primo quarto del V secolo a. C. , essa si trovava sulla via Appia Con una storia di oltre ventotto secoli è stata città osca, etrusca, sannita e romana, divenendo, nel periodo di massimo splendore, una delle più grandi città del mondo romano
il toponimo Campania è di incerta etimologia. Esso deriverebbe, secondo alcuni, dal termine latino campus, che vuol dire campagna, e, per commistione linguistica, dal termine osco Kampanom, con il quale si indicava l'area nei pressi della città di Capua antica, per secoli centro principale della Pianura Campana. Secondo l’ipotesi più accreditata si deve questo toponimo alla città di Capua, una città la cui fondazione è probabilmente anteriore a quella di Roma e dunque grosso modo contemporanea a quella di Partenope, se non addirittura anteriore rispetto a quest’ultima. La zona di Capua e dei suoi immediati dintorni era pianeggiante, ed è dagli abitanti di quel centro, i Capuani, che si hanno i Campani, ossia coloro che vivevano in tutta quell’area sulla quale era esercitata l’influenza di Capua. Ager Campanus, infatti, era per gli antichi proprio il territorio di Capua, che fino alla sua volontaria romanizzazione (donò se stessa ai romani per non farsi conquistare dai sanniti) era la più grande città in Italia. Per indicare i campi coltivati i latini usavano la parola ager, si potrebbe ipotizzare che da Campania provenga il corrotto “campagna”, termine che ancora oggi designa il terreno coltivato, come doveva essere in antichità la regione. Con questo nuovo ampio concetto di Campania, Plinio il Vecchio parlò di Campania felix sia per sottolineare la fertilità della regione, sia per distinguere la Campania antica, cioè la Campania di Capua, dalla Campania nuova la quale, come detto, comprendeva una porzione dell’attuale Lazio.
La denominazione ancora in uso di “ Campania Felix” conferita alla Campania in epoca romana rimanda dunque a quell’ampia fase di unificazione politica che vide un territorio di ampie dimensioni rifondato come un’unica grande struttura agricolo-urbana, a seguito della guerra annibalica che segnò la confisca dell’ager campanus ai Capuani sconfitti. Ossia l’inizio della fase di unificazione politica che successivamente diede luogo ad una vera e propria attività globale di rifondazione agricola, basata sulla suddivisione in centurie, che nei secoli ha acquisito la valenza di struttura permanente di supporto ai vari insediamenti. La “Campania Felix“, di cui hanno parlato Plinio il Vecchio e Virgilio, e tanti altri filosofi e pensatori, era un territorio fertile con clima temperato, folti boschi, bellezze paesaggistiche e monumentali straordinari nella loro unicità, con tradizioni storiche, culturali e agroalimentari uniche al mondo. C’erano, quindi, tutte le condizioni per fare della Campania un territorio operoso, ricco ed accogliente. La Campania ancora oggi si caratterizza per la fertilità e per altre caratteristiche positive , come il clima, la storia, la cultura, i monumenti, la conformazione morfologica del territorio, l’enogastronomia. Nel medioevo, il toponimo Terra Laboris, registrato per la prima volta nel 1092 (anche se ci sono dubbi sull'originalità del documento), venne a sostituire il nome Campania. Il nuovo toponimo sostituirà ufficialmente l'antico nella suddivisione territoriale normanna.
Nel medioevo, il toponimo Terra Laboris, registrato per la prima volta nel 1092 (anche se ci sono dubbi sull'originalità del documento), venne a sostituire il nome Campania. Il nuovo toponimo sostituirà ufficialmente l'antico nella suddivisione territoriale normanna. il nome di Campania felix ricompare nel Cinquecento, quando le cartine geografiche portavano la dicitura “Terra di Lavoro olim Campania Felix”, dunque “Terra di Lavoro, anticamente Campania felix”, che comprendeva più o meno le attuali province di Caserta fino al Garigliano e Napoli e oltre, a Torre dell’Annunciata, ad eccezione perciò di Castrum ad mare e della Penisola Sorrentina, e inglobava inoltre parti dell’attuale Molise, del Sannio e dell’Irpinia. Dal 1806 a 1811 la riforma napoleonica separò la Terra di Lavoro dalla provincia di Napoli, il capoluogo della prima fu proprio Capua ma solo fino al 1818, allorché Ferdinando I delle Due Sicilie, risalito al trono dopo il Congresso di Vienna e unificate le formalmente distinte corone di Napoli e Sicilia, fece di Caserta il nuovo capoluogo. Dopo l’Unità d’Italia la Terra di Lavoro perse alcuni territori a vantaggio delle province di Avellino, Benevento e Campobasso, fino alla sua soppressione nel 1927, durante il ventennio fascista, nell’incredulità popolare. Nel 1970, in attuazione (tardiva) delle norme costituzionali, furono istituite le regioni e la Campania assunse i confini odierni, comprendendo il Sannio, l’Irpinia ed il Cilento. Oggi di quella Campania felix è rimasto poco , eccetto le testimonianze di un passato glorioso, …Un passato che dobbiamo far ritornare.
l'Appennino campano è formato da una serie di elevazioni, acrocori e altipiani (del Sannio, dell'Irpinia e del Cilento), fra i quali si aprono numerosi e facili valichi (il più importante è la sella di Ariano) e vi scorre il fiume Calore irpino (affluente di sinistra del Volturno) con i suoi affluenti: Ufita (al centro della valle omonima), Tammaro e Sabato la zona piana non è una superficie unitaria, ma è suddivisa in tante pianure divise da tanti rilievi dell'antiappennino; e cioè dal rilievo vulcanico di Roccamonfina, e dei Campi Flegrei, dal Vesuvio e dalla catena dei Monti Lattari (che costituisce la penisola sorrentina) il complesso vulcanico dell'isola di Ischia e Monte Epomeo con i vulcani di Procida e Vivara ed infine i vulcani marini situati sul fondale del golfo di Napoli. Pertanto la zona piana si suddivide nelle pianure: di Sessa Aurunca, bagnata dal fiume Garigliano; di Capua, la più ampia, percorsa dal fiume Volturno; di Napoli, che circonda il Vesuvio, uno dei principali vulcani italiani; dell'agro nocerino-sarnese a ridosso dei Monti Lattari; di Paestum che si apre sul golfo di Salerno ed è bagnata dai fiumi Sele, Calore Lucano e Tanagro; dell'Alento che occupa una stretta porzione tra il Monte Stella e il Monte Gelbison e infine il Vallo di Diano, ampio altopiano a conca racchiuso tra le montagne calcaree e dolomitiche del Cilento e dell'Appennino Lucano.
Il territorio è prevalentemente collinare (50, 8%); per quanto concerne il rilievo, possiamo innanzitutto distinguere la dorsale appenninica centrale, decorrente da nord-ovest a sud-est, seguita verso est da una zona di altopiani e conche. Nella zona litorale troviamo massicci di origine vulcanica (Somma-Vesuvio, Campi Flegrei) e di origine sedimentaria (monti Lattari e Massico). Le pianure più importanti sono a nord quella del fiume Garigliano e quella del fiume Volturno; quest'ultima confina a sud con il solco del fiume Sarno e costituisce la Pianura Campana propriamente detta, fertile ed intensamente popol
Il monte per molte culture è la casa del legame tra cielo e terra. In Egitto il più antico simbolo della montagna sacra è la piramide, : simbolo dell’ascensione verso il sole. Il tema della montagna considerata come residenza della divinità è molto diffuso nelle antiche culture. In India il monte Meru – una montagna mitica – è la dimora di Indra, il dio della guerra. Il Kailsa è la montagna sulla quale dimora il dio Shiva. L’Olimpo è il luogo del soggiorno di dei e della Grecia classica. In Giappone i vulcani sono considerati la residenza delle divinità. In Cina, presso i maestri taoisti, il monte K ouen-Louen è simbolo del soggiorno dell’immortalità. Nella mitologia taoista, la fama di questo monte proviene da un maestro celeste Tao-ling.
In Italia e nel Meridione ci sono vari monti sacri : Un Sacro Monte è un complesso devozionale. Con il termine Sacro Monte, pur non essendovi una definizione univoca, si intende solitamente un complesso a carattere religioso connotato da: • lo snodarsi di un percorso devozionale lungo le pendici di un'altura, in un ambiente naturale isolato e di rilevante interesse paesaggistico; • la presenza di strutture (aventi una qualche monumentalità) come chiese, cappelle al cui interno si illustrano, con forme suggestive di espressività artistica (sculture, dipinti, ecc. ), le scene connotanti in modo evocativo il percorso devozionale; • una tradizione secolare di pellegrinaggi e di testimonianze di fede.
Ogni pellegrinaggio è un cammino verso un centro al fine di incontrarvi una Realtà trasformante. Numerosi pellegrinaggi hanno come meta la sommità delle montagne: l’uomo vi incontra il divino. In Grecia i più celebri erano le grandi Panatenee che la città di Atene celebrava in onore della sua dea per commemorare la nascita di Atena e la fondazione di Atene. Le festività terminavano sulla collina santa del Partenone. In Tibet il monte Kailash è venerato ad un tempo dai buddhisti e dagli indù. il pellegrinaggio con la circumambulazione dura in media tre giorni nel corso dei quali i pellegrini sostano nelle grotte di meditazione. In cinese chaoshan (andare in pellegrinaggio) significa andare per avere udienza su una montagna. Il pellegrino va a celebrare un culto ad un dio che troneggia su una montagna. Ogni santuario è assimilato a una montagna. I più antichi pellegrinaggi cinesi sono i pellegrinaggi taoistici molto anteriori alla nostra epoca e avevano tutti come meta le montagne sacre.
Lo scopo dei Sacri Monti, che si cominciarono a costruire in Italia a partire dalla fine del Quattrocento, fu all'inizio quello di offrire ai pellegrini un'alternativa più sicura rispetto ai viaggi in Terra santa; poi divenne quello di offrire ai fedeli un percorso di meditazione e di preghiera altre volte il percorso devozionale è dedicato alla Vergine ed ai "misteri" del Rosario, oppure alla Trinità, Lo storico Franco Cardini scrive: "L'idea del complesso di memoriae non era del tutto nuova. I complessi devozionali collegati alla teatralizzazione della Passione costituiscono una rete che avvolgeva tutta l'Europa, anche se molti di loro andarono distrutti con la Riforma protestante". Lo storico aggiunge che il Sacro Monte s'inserisce nel quadro di un grande archetipo religioso, quello della "montagna sacra", presente ovunque nelle religioni, "un mitema universale, di cui l'Ararat, l'altura del monte Sion, il Monte Sinai, il Monte Tabor, il Monte Carmelo e soprattutto il Calvario sembrano i testimoni nella tradizione biblico-evangelica" Oggi molti Sacri Monti, oltre che luoghi di culto, sono considerati luoghi di interesse storico, artistico e naturalistico meritevoli di speciale tutela.
M. Del Carmine M. Del Granato M. Della Stella M. della. Pietrasanta M. della neve Cervati. Sette sorelle m. Gelbison
Maggio è il tempo in cui si moltiplicano i pellegrinaggi ai santuari, si sente più forte il bisogno di preghiere speciali alla Vergine. Alla base vi è l’intreccio virtuoso tra la natura, che si colora e profuma di fiori, e la devozione popolare. In particolare la storia ci porta al Medioevo, ai filosofi di Chartres nel 1100 Nel Cilento è viva la devozione a Maria infatti. È forte la presenza di santuari mariani sul territorio, in particolare l’immaginario popolare le ha ribattezzate “Le sette sorelle”, sono le sette Madonne che dominano e proteggono il Cilento dalle alture dei santuari da Nord a Sud, dalla costa verso l’interno. Il culto delle Sette Madonne del Cilento è molto antico e ha origini pre-cristiane; sette è un numero magico e simbolico. Le sette Madonne del Cilento sono la Madonna del Granato, Capaccio Vecchio, Monte Vesole Sottano; Madonna della Stella, Sessa Cilento, Monte della Stella; Madonna della Civitella, Moio della Civitella, Monte Civitella; Madonna del Carmine, Catona, Monte del Carmine; Madonna della Neve, Piaggine. Sanza, Celle di Bulgheria, Monte Cervati; Madonna di Pietrasanta, San Giovanni a Piro, Monte Pietrasanta; Madonna del Sacro Monte, Novi Velia, Monte Gelbison o Sacro. La Madonna più venerata delle sette è anche la più “brutta”. La Madonna del Sacro Monte infatti è detta “schiavóna“, cioè forestiera, a causa della pelle scura perché di origine brasiliana. Il santuario più visitato è infatti quello del Monte Gelbison, detto Monte Sacro. La leggenda narra che alcuni pastori di Novi Velia volevano edificare un tempio alla Madonna ai piedi del monte, ma stranamente ogni mattina trovavano il frutto del lavoro del giorno precedente completamente disfatto. Una notte decisero di vegliare per catturare il presunto furfante e portarono un agnello per cibarsene. Ma, nel momento dell’uccisione, l’agnello riesce e liberarsi e scappa fino ad arrivare in vetta, dove si arresta davanti al muro di una piccola grotta. Arrivati per catturare l’agnello, i pastori videro rappresentata sulla grotta l’immagine della Madonna. Attoniti, i pastori corsero a raccontare l’accaduto al vescovo, che si recò sul posto per controllare di persona. Al momento della benedizione la grotta, una voce dall’alto gridò: “Questo luogo è santo ed è stato consacrato dagli Angeli”. Dei sette santuari mariani, solo quello del Sacro Monte resta aperto per più tempo durante l’anno, cioè dall’ultima domenica di maggio alla prima di ottobre. Agli altri, invece, si accede solo il giorno della festa o anche durante i nove giorni che la precedono (novena). La componente simbolico-esoterica collegata a una leggenda delle sette Sorelle si fonde in un culto mariano tipico del Cilento, per cui s’individuano le sette Madonne. Anche se nel Meridione in genere non è raro che la cultura popolare individui le sue sette
Monte Stella
Il Gelbison (detto anche Monte Sacro) è un monte del Subappennino lucano di 1. 705 m s. l. m. situato in provincia di Salerno. In cima possiamo trovare il Santuario della Madonna del Sacro Monte, costruito in luogo di un antico insediamento sacro pagano, probabilmente gli Enotri eressero un tempio ad una loro divinità, in seguito identificata con Era. Quasi certamente il sito fu utilizzato al tempo dei Saraceni: infatti Gelbison significa Monte dell'Idolo
Attraversando un fitto bosco di castagni, l'escursione raggiunge una cinta muraria che circonda la sommità del colle della Civitella. Si tratta dei resti di un Frurion, un avamposto militare dell'antica città di Elea-Velia e che risale ai sec V-IV a. C. Oltre ai ruderi sparsi nel castagneto, spicca in cima al colle a 818 m la solitaria Cappella dell'Annunziata, fondata nel sec XV. Essa è una delle cosiddette Sorelle, ovvero uno dei sette santuari mariani maggiori del Cilento. Dalla sommità della Civitella, la vista spazia da un lato sulle le montagne e i boschi dell'interno, e dall'altro sulla Piana dell'Alento sino al litorale. E mentre ad ovest si osserva la piramidale sagoma del Monte Stella, ad est la vista è chiusa • dal boscoso massiccio del Monte Gelbison, con sulla vetta il suo Santuario, la maggiore tra le Sette Sorelle. Tutto il percorso si svolge su strade sterrate e sentieri. s u l l a v e t t a d e l l a C
Santuario del Carmine di Catona Mandia è una minuscola comunità sospesa tra l’arabesco dei coltivi a valle ed il verde di castagneti e lecceti all’assalto della montagna. Fu, forse, un frurion greco a difesa di Velia dai Lucani guerrieri. E’ sosta per pellegrinaggi alla scalata del Gelbison e per il santuario del Carmine. Catona è ospitale avamposto di serenità alla conquista del Santuario del Carmine, una delle “Madonne-Sorelle, che popolano l’immaginario collettivo popolare del culto mariano nel Cilento. La statua esposta alla devozione dei fedeli lungo tutto l’arco dell’anno nella Chiesa Parrocchiale del XVII secolo, viene portata in processione al santuario il 7 luglio e vi resta fino alla grande festa del 16, festa della Madonna del Carmine, .
Si snoda, a passi lenti, ritmati dai canti devozionali, la lunga processione preceduta dallo stendardo bianco che ondeggia nel cielo del tramonto su per i sentieri di campagna, che, nell’argento degli ulivi sbrigliati dalla brezza, scivola a sbalzi verso il mare. La minuscola cappella vegliata dall’“albero della vita” e dalla “pietra della fecondazione”, rinnova culti che sanno di pagano e cristiano insieme in un fecondo transfert di civiltà. L’albero della vita, niente altro che un palo spoglio con alla sommità tre stecche di legno inchiodate a rifrangere luce di lampade, ha un grande valore simbolico. Ripete in piccolo l’universo nella sua capacità di rigenerazione e rappresenta, perciò, la dimora della divinità e, conseguentemente, l’origine stessa della vita. A dar man forte al culto totemico della vita nella forza primigenia della natura c’è “la pietra della fecondazione”, che ripete qui un rituale diffuso su quasi tutti io santuari cilentani. I processionanti fanno ressa alle porte della chiesa per un saluto alla Madonna sorridente e benedicente tra l’incendio di luce nel trono della nicchia. Con le prime ombre della sera la processione si ricompone in una suggestiva fiaccolata. Tre giri intorno alla cappella, passando sempre tra l’albero della vita e la pietra della fecondazione e poi la discesa. Ed è da brividi di emozioni l’interminabile serpente di fuoco che si snoda lentamente giù per la carrareccia di montagna e per le strade di campagna con la luce delle fiammelle ad illuminare il bigio degli ulivi secolari. In distanza brillano le luci di altri santuari: di fronte il massiccio dello Stella a dominio di mare, più in là la Civitella a protezione di castagneti, alle spalle il Gelbison con la croce illuminata a perforare il cielo. • Giuseppe Liuccio t
• • • • • • Paleolitico…Neolitico. . Testimonianze da grotte e utensili Cultura megalitica meta del terzo millennio sul monte Stella Indoeuropei : Sanniti Irpini Osci Etruschi sul Tirreno Greci a Elea. Parmenide …. Paestum Sanniti e lucani Romani. Impronta fisica…strade, acquedotti, portuari, grotte, templi, teatri, archi, palazzi, ville, urne, vita, pompei ercolano, Nomi famosi Silla, mamurra, tiberio, plinio, lucrezio, lucilio stazio, Virgilio…a baia mori Adriano…, Periodo di decadenza con la caduta dell’impero romano di occidente Visigoti e Ostrogoti Longobardi fino al 1077 Badia di Cava nel 1011 Badia di montevergine 1 124 sul Partenio al posto di un tempio sacro a Cibele Santuari per il santo arcangelo l ongobardo e chiese nelle valli S. Angelo in Formis Scuola medica salernitana Repubblica di Amalfi Normanni Svevi Angioini 1268 -1442 … (a. Napoli arrivano Boccaccio e Petrarca) Aragonesi Vicereame spagnolo con il Seicento glorioso Borbonidal 1734 fino ai moti…’ 800
Elea la sua incredibile persistenza resilienza culturale dovuta alla orografia del territorio e dal fatto che. Intrattenne da sempre buoni rapporti con Roma, fino a diventare municipio romano con il nome di Velia: mantenne però la lingua greca. . . e la monetazione autonoma
sui monti e sulle colline campane le prime strade tratturali della transumanza si costituirono in modo spontaneo , erano probabilmente già segnate in epoca preistorica nelle terre del bacino del Mediterraneo e poi ancora vennero tracciate dai pastori provenienti dall’Anatolia i quali individuarono gli elementi necessari per la loro sopravvivenza e quella del bestiame e cioè i punti di orientamento , le grotte riparo, vene d’acqua , sorgenti. Per l’importanza di queste conoscenze esse furono tramandate in segreto , in forma quasi iniziatica, che si articolò in culture di rispetto delle grotte e dell’acqua, che univa cielo e terra , purificava e dava vita, se poi ritrovata nelle grotte queste ne diventavano un tempio. Riti venivano celebrati in onore di dee madri , di Apollo , Demetra , di Mefite , a cui nella valle dell’Ansanto era dedicato un grande santuario italico proprio li dove le emanazioni di idrogeno solforato servivano a curare gli animali malati…. tante testimonianze fanno pensare che vi fossero culture importantissime legate nella memoria storica a pratiche devozionali ininterrotte dalla preistoria alla età moderna.
Molte sono le testimonianze di autori latini che sottolineano l’atmosfera infernale del luogo, come Cicerone, secondo il quale il luogo in esame è sinonimo di morte, e Virgilio, che mette in evidenza la sacralità del sito e colloca in questo preciso punto la discesa delle Erinni negli Inferi.
Nella grotta di Pertosa è stato ritrovato un gruppo di terracotta rappresentante Semele e Dioniso. Nel calendario liturgico agricolo-pastorale le feste coincidono con l’inizio dell’estate e l’arrivo dell’autunno corrispondenti alle celebrazioni della festa di S. Michele Arcangelo che si svolge due volte l’anno (in epoca storica in un periodo tradizionalmente compreso tra il 29 settembre , festa di San Michele e l'8 maggio , apparizione dell'arcangelo Michele presso la grotta di monte s. Angelo sul Gargano Nel periodo medievale la transumanza segnò una battuta d’arresto, ma l’arrivo dei Longobardi con la conversione al cristianesimo il loro universo religioso si realizzò ad opera dei Benedettini e si affermò soprattutto il culto di S. Michele che nella sua immagine di santo combattente, difensore armato dei popoli e dei pastori assommava elementi di religiosità arcaica, italica e romana nel nome di una continuità storica veramente straordinaria. . S. Michele , santo transumante , viene portato in montagna e poi a valle , a partire dall’età Angioina nella cultura postorale il culto Mariano sostitui poi quello di S. Michele. All’origine di tanti casi di devozione Mariana si trova la storia di un ritrovamento miracoloso di una statua della Madonna ad opera di un pastore, guidato da un animale.
Tanti percorsi montani erano utilizzati dai pastori per compiere la transumanza, ossia per trasferire con cadenza stagionale mandrie e greggi da un pascolo all'altro…. (in epoca storica in un periodo tradizionalmente compreso tra il 29 settembre , festa di San Michele e l'8 maggio , apparizione dell'arcangelo Michele presso la grotta di Monte Sant'Angelo sul Gargano). Questa versione mediterranea della transumanza, per distinguerla dalle transumanze alpine di breve raggio ("verticale"), è detta anche "orizzontale" in quanto comporta lo spostamento degli armenti su percorsi lunghi fino a oltre 200 chilometri dalle montagne verso i pascoli. Non è dato conoscere quali e quante furono le vie armentizie nei tempi più lontani, ancor prima della costruzione delle strade romane la sede dei percorsi tratturali vedeva il lento e copioso fluire della transumanza. I tratturi dell'Italia centro-meridionale nacquero con le civiltà preistoriche e furono particolarmente sviluppati nel periodo sannita, con importanti centri e fortificazioni sorte lungo il loro percorso. Nella tradizione del popolo dei Sabelli vi erano le direttrici della transumanza il cui utilizzo era gratuito. L'arrivo dei Romani e l'imposizione del dazio sui capi in transito, avrebbe determinato l'insurrezione di queste genti abituate alla libera circolazione , è anche agevole ipotizzare che questi percorsi potessero condividere, per alcuni tratti, la stessa sede delle vie romane ossia di viae publicae et calles nate, ricalcando percorsi già individuati prima della conquista romana. Alcuni tratturi, specialmente nelle aree interne, sono giunti fino ai nostri giorni pressoché intatti, al contrario delle strade romane, spesso adiacenti ad essi, delle quali, nonostante fossero lastricate di pietre, restano solo i ruderi di qualche ponte e alcuni brevi tratti. In qualche lembo di Irpinia o Abruzzo i tratturi conservano ancora gli originari 111 metri, sicuramente (dove ancora presenti) non scendono mai al di sotto dei 60.
L’Antece per alcuni è posto a guardia e a protezione dei traffici e dei transumanti. Sul pianoro di Costa Palomba, una scultura nella roccia sorprende il nostro sguardo, un rilievo a grandezza naturale, un guerriero con indosso una tunica, le braccia spalancate, ad una mano una lancia, poggiato ai suoi piedi uno scudo ed una spada pende dalla corda cinta in vita, per i pastori del luogo è U’ Moccio, per gli storici è l’antece. , che nel gergo locale potrebbe significare ‘antico’ o ‘immobile
Secondo gli studiosi si tratta di un monumento funerario, eretto per celebrare un eroe guerriero, ma il mistero prosegue, anche perché Costa Palomba offre altri elementi che lasciano interdetti gli studiosi. Il gioco di luci che naturalmente viene a crearsi nell’arco della giornata avvolge spesso questa scultura di una atmosfera magica conferendole un indescrivibile fascino. Ricavata a rilievo dalla roccia, è a grandezza naturale e raffigura un guerriero vestito di una corta tunica, stretta in vita da una cintura da cui pende una spada. Con la mano destra impugna una lancia alla cui base sta poggiato uno scudo borchiato; con la sinistra regge qualcosa ma l’alterazione della pietra non ne consente la decifrazione. Sulla sommità del capo v’è traccia di un elmo probabilmente asportato. Sul quadrante superiore sinistro della roccia compaiono tracce di un taglio di forma circolare che, insieme all’andamento curvilineo della base su cui poggia la figura, fanno supporre che la statua fosse inscritta in un ideale cerchio. popolazioni consideravano l’area di Costa Palomba un centro sacro. A questo punto viene da pensare che la scultura raffiguri un dio oppure che costituisca un cenotafio collocato in un’area sacra a ricordo di un eroico guerriero sepolto altrove e per qualche motivo oggetto di venerazione in questo luogo. Per alcuni è posto a guardia e a protezione dei traffici e dei transumanti. Poco distante dall’Antece un vasca, scavata nella pietra, probabilmente un altare sacrificale ma anche qui gli studiosi non sono certi né della datazione né della funzione della stessa. Tutto intorno, un sistema di mura poligonali è l’unico elemento di certezza presente in questa zona. Questo tipo di fortificazioni venivano usate nella preistoria come protezione dell’insediamento, erette probabilmente dalla popolazione dei Lucani, Ma perché un insediamento a quota 1200 metri? Forse un rifugio per i pastori? Resta il mistero intorno a questo luogo magico e pieno di leggenda, sicuramente un insediamento unico al mondo tant’è che l’Unesco ha inserito l’Antece nella lista del Patrimonio dell’umanità. . . consigliamo una passeggiata sugli Alburni, alla scoperta del mistero…
Come spesso accade in alcune aree del nostro Paese, nelle quali i millenni di storia sovrappongono culti a culti, a volte fondendo simboli e credenze di origine diversa, anche a Sant’Angelo a Fasanella – a poca distanza dal Guerriero di Pietra – vi è un altro luogo di culto, questa volta cristiano ma con probabili frequentazioni precristiane. Si tratta della Grotta di S. Michele Arcangelo, sede nell’XI secolo di una comunità religiosa benedettina; non sono tuttavia da escludere possibili insediamenti precedenti risalenti alla diffusione della civiltà greca nel Cilento. Alcuni resti in muratura, addossati alla parte esterna della roccia, sembrano risalire ai primi decenni del 1300. Alla grotta si accede da un semplice portale sotto i cui due stipiti compaiono un leone e una leonessa dalle forme arcaiche. All’interno della grotta, oltre ad un pozzo e alla tomba dell’abate Francesco Caracciolo, si trova una edicola di stile gotico molto alta. Nella cavità più profonda ha sede la cappella dedicata all’Immacolata, sul cui altare campeggia una tela risalente al XVII secolo. Lungo gli spazi circostanti si notano affreschi trecenteschi e sculture. Sul fondo della grotta si staglia, invece, uno sfarzoso altare seicentesco fatto costruire, così come il pozzo e il pulpito, dall’abate Francesco Caracciolo, e su di esso troneggia la statua di S. Michele Arcangelo, nume tutelare di questo antico luogo di culto. La natura carsica del complesso ha favorito la formazione di un gran numero di grotte e cavità (circa 400) tra le quali sono famose quelle di Castelcivita, le più estese del sud Italia, e di Pertosa (Grotte dell’Angelo), costellata di stalattiti e che contiene un lago sotterraneo di acqua plumbea e gelida. Le Grotte di Castelcivita sono un complesso di cavità carsiche particolarmente ricche di stalattiti e stalagmiti dalle mille forme e si estendono per svariati chilometri. Sono conosciute anche come Grotte di Spartaco, per via di una narrazione popolare (plausibile ma non appurata) che vide il gladiatore romano sostare in queste cavità, mentre muoveva la rivolta degli schiavi verso Roma. Le Grotte di Pertosa si trovano nei pressi del fiume Tanagro, immerse nel cuore di una natura spettacolare. L’intero complesso delle Grotte si estende per una lunghezza di circa tremila metri, sospesi tra terra e acqua, in un’alternanza così suggestiva da emozionare chiunque. Ciò che rende uniche queste grotte è il fiume sotterraneo Negro: un fiume proveniente dalle più recondite profondità che offre un affascinante ed inconsueto viaggio in barca immersi in un silenzio magico, laddove luci ed ombre si incontrano e si confondono in un gioco sempre nuovo, rimanendo incantati dallo scrosciare della grande cascata naturale.
Un calendario di pietra che indica con straordinaria precisione la data del solstizio d’inverno? Si chiama Preta ru Mulacchio e si trova sul monte Stella
Preta ru Mulacchio nel dialetto cilentano, significa “Pietra del Figlio Illegittimo” perché era associato anche ai riti di fertilità. “Il complesso è stato frequentato fino agli anni ’ 50: le donne passavano nella galleria perché nelle credenze popolari la roccia fecondata dal Sole diventava capace di fecondare”. La Preta è sostanzialmente costituita da tre massi che si sono separati da un singolo blocco per cause naturali: tra questi tre massi, si sono formate due “gallerie”. Tuttavia, la Preta è stata profondamente modificata dal lavoro dell’uomo: grosse pietre sono state incastrate in posizioni precise tra i tre blocchi originari, o poste a generare un piano di copertura del complesso. Inoltre, alcuni bacini sono stati scavati sulla parte superiore della Preta, visitabile grazie ad una scala di legno predisposta dall’Ente Parco. “Pur in assenza di una datazione precisa, il megalite va attribuito probabilmente alla Cultura Proto-Appenninica (metà III e inizio del II millennio a. C. )”. La Preta ru Mulacchio è raggiungibile dal parcheggio del Santuario, dove staziona il pullman, con un facile sentiero di circa 400 metri e un dislivello di circa 100 metri. Dal santuario è possibile osservare lo straordinario panorama delle coste del Cilento. Un archeo-astronomo spiega come è stato costruito, ne illustra il funzionamento come “calendario di pietra” e racconta le millenarie tradizioni popolari che, fino a pochi decenni fa, ne dimostravano l’associazione a riti di fertilità.
Una. sorta di Stonehenge del Cilento, un centro preistorico che non ha ancora svelato tutti i suoi misteri, un sistema di menhir in vetta che rimandano ad antichi riti religiosi legati forse al sole ed alla luna. L’insediamento in questione potrebbe risalire alla seconda metà del III millennio, corrispondente all’ultima fase dell’Eneolitico. Una civiltà che, rispetto ai popoli primitivi, aveva una più matura concezione dell’esistenza collegata ai cicli delle stagioni e della transumanza. «Come per Stonehenge, anche se in un’area geografica meno concentrata sulla vetta del Monte Stella si innalzano menhir che si allineano, entro un sistema di percorsi cerimoniali, ai solstizi e agli equinozi e sono essi stessi la rappresentazione simbolica del culto degli antenati e dell’energia fecondatrice del sole sulla terra all’interno di un cosmo funzionale nella sua interpretazione astronomica ed astrologica al benessere di una società che dipendeva nella sua esistenza dai prodotti soprattutto agricoli» . Il Monte della Stella, quindi ancora oggi meta di pellegrinaggi per la presenza del santuario cristiano dedicato alla Madonna, sarebbe stato un importante luogo di culto già in epoca preistorica. «Il culto delle pietre si associava a quello dell’acqua purificatrice e vivificante ma anche a quello del fuoco, simbolo anch’esso di vita ma anche di consunzione, le cui tracce rimangono in area cilentana nelle pietre utilizzate accanto o insieme alle croci davanti a chiese o nelle sorgenti che affiancano i percorsi cerimoniali» . Riti e tradizioni arcaiche spesso si sono miscelati al culto cristiano sopravvivendo fino a pochi decenni fa. I pellegrini che andavano al Monte della Stella, infatti, si lavavano i piedi prima di procedere alla volta del santuario «o passavano accanto agli antichi monoliti, ai quali, secondo la tradizione, si strofinavano le donne quale simbolo augurale di fecondazioni e di nascite o lasciavano, sul non distante Monte Gelbison, un segno della loro presenza lanciando dal santuario sassolini in segno augurale di ritorno in anni successivi. Questi alcuni elementi di una tradizione di pellegrinaggi che rievocano quelli antichi in cui ci si rivolgeva riverenti al cielo stellato, al Sole e alla Luna, alla presenza di sacerdoti che con le loro interpretazioni e in periodo particolari dell’anno, come solstizi ed equinozi, offrivano speranze soprattutto di favorevoli raccolti»
Dalla cima (m. 1131 s. l. m. , 120° E/SE) alla controvetta (m. 1025 s. l. m. , 300° W/NW), si trovano senza soluzione di continuità le tracce di un grande centro preistorico megalitico, ovvero, di un sistema di insediamenti crinalici collegati, tanto dalle cinte che inanellano quell'intera montagna, a quote diverse tra la dorsale sommitale e la mezzacosta, quanto da una fitta rete viaria preistorica, controllata dalle propaggini insediative fino ai porti ed approdi, sulla costa o sulla valle del fiume Alento. Il centro preistorico megalitico sul Monte della Stella è databile quantomeno al III millennio a. C. , in base al ritrovamento di un coltello di selce in contrada Coste di Serramezzana, sul versante occidentale del Monte della Stella. Sulla cima si trova una piccola chiesa, dedicata alla Madonna del Monte della Stella, risalente al 1000 e restaurata nel 1993. Il Monte Stella (Cilento) è il centro simbolico della nascita del Cilento, infatti la zona strettamente vicina al monte viene chiamata "Cilento antico" per distinguerla dall'intero parco nazionale. Sulla vetta, sulla dorsale sommitale e prevalentemente sul versante alentino, si trovano testimonianze di megalitismo nelle rovine in pietra costruite con l'incastro poligonale secco, di indubbia origine eneolitica (III millennio a. C. ), e stratificate con mura in acciottolato e malta nell'alto medioevo longobardo (secc. VI - XI). Secondo alcuni storici si tratterebbero delle grandi ed estese rovine pelasgiche di età preindoeuropea, mutate in Petelia, mitica ed antica capitale prelucana, ridotta sulla vetta ad un centro abitato a carattere difensivo costruito intorno al IX secolo, col suo barbacane sulla controvetta denominato Mulèlla. Questa fortezza vettale si sarebbe chiamata Lucania fino al 1008 e Cilenti, o Castellum Cilenti, dal 1031 e avrebbe dato il suo nome rispettivamente all'omonimo Gastaldato di Lucania, alla Baronia di Cilento ed all'intera subregione del salernitano.
La cultura è l’insieme di conoscenze che formano la personalità e la capacità critica di un individuo , ma anche l’insieme di conoscenze proprie di un intero popolo e, infine, l’insieme delle sue credenze e tradizioni, legate alla sua storia. Dentro al concetto di cultura, dunque, c’è anche identità, capacità, espressione di sé come persone e comunità, progetto, immaginario, memoria del passato e proiezione nel futuro, evoluzione, orgoglio e senso di sé e mille altre cose. Se leviamo la cultura, i popoli e gli individui si riducono al proprio essere fenomeno biologico. la cultura è tutto tranne che una faccenda noiosa, inutile, antipatica e che “non si mangia”, anche se spesso, da chi poco la frequenta, viene presentata così. La cultura è quel che noi siamo e saremo, e viceversa. La cultura cambia. Si evolve. Ma, mentre l’evoluzione darwiniana riguarda la trasmissione di geni (con le loro mutazioni e l’affermarsi degli individui e delle specie più adatte), l’evoluzione culturale riguarda la cosiddetta trasmissione di memi, cioè di informazione trasmessa da un individuo all’altro mediante mezzi comportamentali. meme dal greco "mimema" "qualcosa di imitato". il suo uso si deve al biologo Dawkins che ha abbreviato la parola "mimeme",
Vi pare che sia stata trascurata la parola storia? Niente affatto… storia dal greco antico ἱστορία, historìa, ricerca , si occupa dello studio del passato tramite l'uso di fonti, di documenti, testimonianze e racconti. Il collegamento ricercato appare dunque possibile attraverso la storia delle culture montane, che da tempo immemorabile hanno caratterizzato la Campania tra passato pastorale, credenze religiose, miti e rituali. fine
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