Apud bonum iudicem argumenta plus quam testes valent
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Brevi cenni di psicologia giuridica Attendibilità della testimonianza è la corrispondenza fra il racconto e quanto avvenuto. Essa dipende dalla: Accuratezza della memoria che è la corrispondenza fra quanto rappresentato in memoria e quanto accaduto
I molti pericoli per l'attendibilità: - età; - il livello di consapevolezza del soggetto; - gli schemi mentali di riferimento nella interpretazione del fatto; - la presenza o l'assenza dell'intento di ricordare nel momento in cui si assiste ad un certo episodio; - le interferenze che si frappongono fra il momento in cui si assiste all'episodio e quello della testimonianza; - le modalità di assunzione della testimonianza o del riconoscimento (le domande mal poste).
Come funziona la memoria? - memoria autobiografica: contiene le informazioni che la persona possiede relativamente a sé stesso e alla propria storia passata. Essa forma la identità dell'individuo e consente al soggetto di conservare un solido senso di sé e di apprendere in modo consapevole dalle situazioni.
- memoria episodica: si tratta della memoria a lungo termine in cui vengono serbate le esperienze del passato caratterizzate da connotazioni spaziotemporali. - memoria semantica: è relativa al significato delle informazioni indipendentemente dalle coordinate spaziali e temporali. Si struttura sotto forma di concetti semplici (es. l'idea di albero) o di concetti organizzati in schemi (l'insieme degli elementi che formano il concetto di “ladro”) che vengono richiamati alla mente anche inconsapevolmente nel momento in cui il ricordo viene attivato. - memoria procedurale: contiene le informazioni sul come operare.
Nella testimonianza viene sopratutto in evidenza la memoria episodica perché le indicazioni spazio temporali che essa contiene sono indispensabili nel corso di una indagine ma occorre tener presente che essa è interagita dalla memoria semantica in forza degli schemi in essa contenuti. Questa interazione avviene nel corso di ciascuna delle fasi in cui avviene la memorizzazione.
Le tre fasi della memorizzazione 1) fase della acquisizione della informazione (codifica) che dipende dal grado di attenzione. Solo ciò che è stato oggetto di attenzione viene elaborato in modo tale da poter essere codificato e rappresentato nella memoria episodica; 2) fase della collocazione della codifica nella memoria a lungo termine (memoria episodica) sulla base delle pregresse conoscenze e dei concetti che vi sono contenuti: ciò che si ricorda non è solo il contenuto di un evento cui abbiamo assistito ma è l'interpretazione dell'evento che è stata data al momento della codifica. 3) fase del mantenimento e del recupero;
La fase del recupero La memoria non è una scatola di fotografie del passato da cui attingere ma piuttosto un atto di riattivazione di varie informazioni che vengono ricucite e riorganizzate in modo da formare un evento mentale che può essere chiamato RICORDO E' un processo di tipo ricostruttivo e non riproduttivo e proprio per questo non immune da possibili errori.
Le cause degli errori Anche se la memoria è stato fattore di progresso della umanità ed è in genere affidabile, esistono fattori di distorsione che la rendono uno strumento imperfetto: - suggerimenti esterni (es: le domande fuorvianti nelle quali sono inserite informazioni false); - effetto ”compliance”: la tendenza a compiacere l'interlocutore specie se autorevole; - costruzione collettiva di falsi ricordi (la nascita di miti e leggende – streghe ed untori – leggende metropolitane);
LA MEMORIA DEI BAMBINI Vi è un generale accordo sul fatto che bambini anche molto piccoli (circa 4 anni) siano capaci di ricordi liberi, accurati come gli adulti, anche se molto poveri. Essa può cogliere aspetti salienti diversi da quelli tali per un adulto. La povertà del ricordo rende problematico il riconoscimento di persone; I bambini tendono a rispondere di sì a domande dirette; La memoria è migliore se il bambino è stato diretto protagonista dell'evento.
Ma i bambini sono più suggestionabili degli adulti tanto più se l'adulto è percepito come una figura autorevole e la suggestionabilità decresce con l'avanzare dell'età. Ciò vuol dire che se ricevono informazioni false modificano la loro memoria incamerando un falso ricordo. Per evitare tale pericolo, il diritto fa ricorso agli studi psicologici più recenti il cui risultato è compendiato nella c. d. Carta di Noto
La introduzione della prova dichiarativa nel giudizio Il codice prevede una chiara distinzione fra il momento di ammissione della prova e quello della assunzione e ciò per la esigenza di assicurare il contraddittorio fin dal primo momento. Per la introduzione della prova orale l'art. 468 c. p. p. prevede la presentazione della lista almeno 7 giorni prima della data fissata per il dibattimento ma ovviamente la regola non vale per la richiesta di ammissione della prova contraria che può anche essere presentata per la prima volta in dibattimento (comma 4).
La rigidità della regola (la cui violazione è sancita a pena di inammissibilità) subisce un temperamento dall'art. 493 co. 2 che ammette le prove non potute indicare tempestivamente nella lista (per omissione incolpevole). A tale norma ha fatto riferimento la giurisprudenza a proposito del problema rappresentato dalla possibilità per la parte civile che si costituisca in dibattimento di presentare la lista testimoniale senza il rispetto del termine di 7 giorni.
La costituzione di parte civile al dibattimento, in tempo non più utile per la presentazione delle liste non può privare la parte civile stessa del diritto di chiedere prove, in quanto l'art. 493 comma 2, consente espressamente di superare la sanzione dell'inammissibilità, tipizzata nell'art. 468 cpp quando sia dimostrato che la parte non abbia potuto indicare tempestivamente le prove richieste, fermo restando che da ciò non può rimanere pregiudicata la facoltà della controparte di articolare la prova contraria (Sez. VI 2 febbraio 2016 n. 20090 e Sez. III 6 ottobre 2015 n. 49644).
La indicazione nella lista testi delle circostanze su cui deve vertere l'esame La giurisprudenza ha sempre escluso l'obbligo di una capitolazione delle singole domande secondo il modello civilistico e ritiene sufficiente il riferimento per relationem al capo di imputazione o ai fatti denunciati, sul presupposto che si tratti di circostanze note alle controparti. Esiste anche un diverso orientamento che osserva che una indicazione generica impedisce alla controparte di conoscere i punti su cui deve difendersi.
In sede di esame della lista testi il presidente del collegio è chiamato ad escludere le testimonianze vietate dalla legge e quelle sovrabbondanti (art. 468 co. 2 cpp). Tale potere non è da confondere con quello attribuito al giudice del dibattimento di escludere le prove irrilevanti o superflue (art. 190 cpp). Prova non irrilevante è quella che ha riferimento ai fatti oggetto della imputazione ed agli altri fatti indicati dall'art. 187 cpp. Prova superflua è quella che tende ad un risultato già acquisito od altrimenti acquisibile.
Il diritto alla controprova Esso spetta esclusivamente all'imputato ed al P. M. (art. 495 cpp). Ciò nondimeno anche la altre parti eventuali sono legittimate a chiedere la ammissione di prova contraria ex art. 468 c. 4 cpp. La differenza è che nel primo caso si è in presenza di un diritto cui corrisponde il dovere del giudice di ammettere la controprova (salvo il caso in cui sia superflua). La Corte Costituzionale (sent. 532/1995) ha ritenuto non ingiustificato tale diverso trattamento stante la non equiparabilità fra i diversi soggetti processuali.
ll giudice può revocare in corso di istruzione il provvedimento di ammissione dei testi ammessi ma deve motivare circa la loro sopravvenuta superfluità. Il difetto di motivazione viola il diritto della parte di "difendersi provando", stabilito dall'art 495 co. 2, corrispondente al principio della "parità delle armi" sancito dall'art 6 Cedu (Sez. V, 30 settembre 2013 n. 50522) determinando una nullità di carattere generale, soggetta al regime di cui agli artt. 181 e 182 co. 2 cpp, sicché la parte pregiudicata, presente all'atto, è tenuta, a pena di decadenza, ad eccepire la nullità prima del suo compimento o tutt'al più immediatamente dopo, e così pure ad opporsi alla dichiarazione di chiusura dell'istruttoria dibattimentale, cosicché in difetto la nullità rimane sanata. Conseguentemente. . .
…. anche in difetto di una pronunzia di revoca della ammissione di testi (cd revoca implicita), la giurisprudenza ritiene che la mancata assunzione dei mezzi di prova già ammessi non produca alcuna nullità del procedimento, laddove il giudice abbia dichiarato chiusa la istruttoria dibattimentale e non sia stata manifestata alcuna riserva alla chiusura dell'istruzione dibattimentale da parte di chi tali mezzi aveva richiesti, né opposizione delle altre parti processuali (Sez V 14 dicembre 2015 n. 7302 e Sez. VI, 11 dicembre 2009, n. 1081).
I limiti alla assunzione della prova orale (art. 190 bis c. p. p. ) La norma indica i diversi casi in cui è possibile prescindere in dibattimento dal principio di oralità – immediatezza quando il contraddittorio è stato garantito in una altra fase processuale o in altro procedimento e prevede che l'esame nel contraddittorio dibattimentale si svolga quando riguarda fatti o circostanze diverse da quelle oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se viene ritenuto necessario sulla base di specifiche esigenze (cioè quando emergono lacune, imprecisioni, incongruenze che occorra chiarire ovvero il compendio probatorio ponga in dubbio la attendibilità del dichiarante).
Per quanto imperfetta e ingannevole possa essere la prova testimoniale, essa resta la più importante fonte di convincimento processuale. Allora, per fare un utilizzo convincente e razionale di tale strumento probatorio, diviene assolutamente fondamentale il metodo di assunzione della prova dichiarativa: la cross examination è il sistema migliore per scoprire la verità. Il suo archetipo trova manifestazione già nell'esperienza giuridica romana.
L'esame del teste maggiorenne in dibattimento E' caratterizzato dalla oralità anche se il teste può utilizzare “per aiuto alla memoria documenti da lui redatti” giacche anche in questo caso la prova è rappresentata dalla dichiarazione orale e non dallo scritto. E' da ritenersi vietato ex art. 515 c. p. p. che il teste possa trasfondere nella deposizione lo scritto leggendo il documento richiamato a supporto a meno che non si tratti di dati numerici perché qui la consultazione non può realizzarsi se non con la lettura del documento scritto (Sez. Unite, 24 gennaio 1996 n. 2780: nel caso di specie la consultazione da parte del testimone di prospetti riassuntivi di dati ricavati da complessa attività di polizia giudiziaria). Dopo la deposizione l'atto scritto e letto può essere acquisito agli atti processuali ex art. 515 cpp.
Esame: verte sulle circostanze indicate nella lista testi (con la eccezione delle domande dirette a verificare la credibilità del teste sempre ammesse ex art. 194 cpp). Domande estranee al tema di prova vanno escluse di ufficio dal presidente ex art. 499 c. 6. Può accadere che dalle risposte del teste emergano per la prima volta fatti nuovi tali da integrare il concetto del “tema di prova nuovo o più ampio” ex art. 506 cpp. In tal caso di devono ritenere consentite anche le domande su circostanze ulteriori evidenziate nel corso dell'esame
In definitiva l'ambito delle domande proponibili nel corso dell'esame diretto, pur essendo, in via di principio, predeterminato dalle circostanze indicate nelle liste e dai fatti individuati dalle parti in sede di atti introduttivi del dibattimento, tende poi a plasmarsi sullo sviluppo dell'escussione, nel senso che i temi di prova sono destinati a subire una restrizione o, viceversa, un ampliamento per effetto dei quesiti formulati e delle risposte ricevute. La pertinenza delle domande, insomma, deve essere commisurata anche sull'andamento dell'escussione, tant'è vero che alla parte intenzionata ad introdurre il testimone non è imposto un onere di indicare analiticamente ogni quesito che intende andare a proporre.
Esiste anche un unico precedente giurisprudenziale (Cass. 9 giugno 1993 citato in Rassegna di giurisprudenza Lattanzi – Lupo, volume VII) per il quale il giudice può utilizzare anche dichiarazioni spontanee rese dal teste che siano integrative delle risposte date nel corso dell'esame e del controesame attinenti al tema di prova. E ciò può avvenire sia nel corso dell'esame incrociato, sia anche in un momento successivo allorché il teste ritenga di presentarsi spontaneamente a deporre.
Il Controinterrogatorio “Un avvocato può fare qualsiasi cosa con il controinterrogatorio, se è abbastanza abile da non impalare la propria causa su di essa” (Jonn Henri Wingmore) Il miglior controesame è “quello che non si fa”
Contro esame: si deve sviluppare sui temi svolti nell'esame e non su temi completamente diversi da quel contesto. Si ritiene in genere che la parte che non ha indicato il teste a suo favore non può porre, in sede di controesame, domande su circostanze diverse da quelle specificate da chi ne ha richiesto l'esame al momento della presentazione della relativa lista. Altrimenti verrebbero frustrati i termini temporali ed i limiti di ammissibilità prescritti dal codice di rito per l'ingresso nel processo delle prove indicate dalle parti, nonché le regole concernenti le modalità di assunzione delle stesse.
Tuttavia, appare ragionevole ritenere che circostanze ulteriori potranno essere introdotte per la prima volta nel controesame, ma pur sempre entro i limiti di pertinenza determinati dalle domande rivolte e dalle risposte rese nel corso dell'esame diretto; limiti questi da considerare indispensabili per scongiurare il rischio che il tema della prova possa essere trasformato senza che vi sia stata una rituale richiesta di ammissione.
Nella pratica il controesame è condotto dal difensore (ex art. 498 cpp) quantunque l'art. 111 Cost. preveda la facoltà dell'imputato di interrogare i testi di accusa. Nel nostro sistema la possibilità di controesame non è riservata solamente all'antagonista di chi ha chiesto l'esame perché lo stesso diritto è in capo alle parti eventuali e comunque alle parti che non hanno chiesto l'esame ma hanno un interesse comune con la parte che ha chiesto l'esame.
Riesame: avviene ad opera da chi ha condotto l'esame e non è consentito alle altre parti. Le nuove domande devono essere collegate al materiale emerso nel corso dell'esame incrociato. Non domande nuove dirette ad aprire un nuovo tema. Quindi, non è consentita l'introduzione di domande che non hanno formato oggetto di esame e controesame. Il riesame ha lo scopo di chiarire e precisare i punti eventualmente posti in discussione nel controesame ovvero confutare le affermazioni emerse nel corso di quest'ultimo.
La funzione del riesame è quella di consentire, a chi ha introdotto la prova, di recuperare e chiarire la sequenza dei fatti riferiti dal teste in sede di esame diretto e posti a sostegno della propria tesi, dopo che il controesame ha cercato di mettere in dubbio la loro esistenza; oppure consente di esporre la ragione di eventuali contraddizioni nelle quali il testimone è caduto, al fine di corroborare la validità delle dichiarazioni inizialmente rese. E' volto a ripristinare i risultati acquisiti nell'esame diretto, eventualmente compromessi dal controesame.
Dopo il riesame non si apre un nuovo ciclo di domande perché l'art. 498 cpp non prevede la possibilità di un ulteriore controesame a seguito delle nuove domande proposte ai sensi del co. 3. E ciò per evidenti ragioni di economia processuale e del principio di concentrazione dei contraddittorio. La norma tende ad evitare interventi meramente dilatori o "a catena" e senza limiti, a stimolare una conduzione dell'esame ispirato a principi di correttezza e lealtà e a garantire i diritti del testimone. La tutela dei diritti della difesa, ove si rendesse comunque necessario porre altre domande o acquisire altre prove, è garantita dagli artt. 506 e 507 c. p. p. che consentono interventi ex officio. (Sez. IV 27 marzo 1997 n. 3496)
Quid iuris nel caso di teste comune? 1) Se la prova testimoniale è introdotta a carico ed a discarico sulle stesse circostanze, nulla vieta di sottoporre il testimone ad una serie di quesiti formulati alternativamente dall'accusa e dalla difesa cosicché l'intera acquisizione della prova dichiarativa potrebbe avvenire in un unico contesto istruttorio, purché con regole di acquisizione diverse, dato che l'esame diretto della ulteriore parte richiedente, in quanto avente ad oggetto la medesima circostanza di prova, perde autonomia, nel senso che non è logicamente distinto dal controesame.
2) Se l'esame del teste “comune” è stato ammesso in relazione a circostanze tra loro non coincidenti, la acquisizione della prova dovrebbe avvenire in momenti processuali diversi, nell'ambito dei rispettivi turni istruttori, di modo che a ciascuna parte sia data la possibilità di svolgere e concludere autonomamente la propria escussione testimoniale. Quindi, a seconda del turno ciascuna parte potrà interrogare e controinterrogare.
L'esame da parte del presidente (art. 506 co 2) Solo al termine dell'esame e controesame il presidente può rivolgere domande al teste (anche al teste assistito e agli altri soggetti indicati dall'art. 210 cpp). Dopo di che si apre uno spazio per ulteriori domande ad opera delle altre parti le quali hanno il diritto di concludere. Ma tali domande dovrebbero essere sempre vincolate alle questioni sollevate di ufficio. Il rinvio contenuto nell'art. 506 è fatto ai primi due commi dell'art. 498 cpp e pertanto è da escludere che ricominci la sequenza dell'esame incrociato.
In ordine al profilo logico-temporale della sequenza di assunzione della prova orale, la legge 16 dicembre 1999, n. 479 ha precisato che le domande spettano al presidente « solo dopo l'esame e il controesame » . Anche se la norma non menziona l'eventuale riesame, si ritiene che le caratteristiche di un sistema autenticamente accusatorio richiedano che il riesame si svolga immediatamente dopo il controesame, senza che le cadenze dell'esame incrociato siano turbate dall'intervento officioso del giudice. Ne viene dunque, ai sensi della norma in oggetto le persone si debbono considerare « già esaminate » soltanto quando l'esame incrociato condotto dalle parti sia stato completamente svolto ivi compreso il riesame.
La particolare forma di iniziativa probatoria ex officio, se esercitata dal presidente formulando domande al teste, “rimette in gioco” tutte le parti e così consente loro di integrare, l'esame precedentemente svolto, con la formulazione di domande che tengano conto di quanto emerso nel corso dell'esame giudiziale. Dunque, la nuova sequenza di domande si apre con l'esame diretto della parte che ha chiesto l'ammissione del testimone, per poi proseguire con quello delle altre parti. Ma sono ammissibili soltanto quei quesiti conseguenti alle precisazioni appena fornite dal teste al giudice.
La indicazione di temi nuovi di prova (art. 506 co. 1) Si tratta di un temperamento al carattere accusatorio del processo: il giudice sulla base dei risultati della istruttoria può esercitare un “potere di suggerimento” che si traduce nell'invito alle parti ad ampliare un tema di prova anche oltre i limiti segnati dalle liste testi e dalle richieste introduttive sia pure restando nell'ambito della imputazione. Spetta poi alle parti accogliere o meno l'invito e nel primo caso a richiedere quali prove introdurre. Temi di prova nuovi significa fatti e circostanze utili e rilevanti ai fini della decisione, che però devono emergere dai risultati probatori delle prove già acquisiti agli atti.
Le eccezioni alla conduzione diretta delle parti 1)L'esame testimoniale del minorenne (art. 498 co. 4) condotto dal presidente su domande e contestazioni delle parti. La previsione ha lo scopo di contemperare l'esigenza di tutelare il minorenne dai naturali condizionamenti provocati dalla sua fragilità emotiva e psicologica e la necessità di salvaguardia del minore, da effetti pregiudizievoli scaturenti dall'intervento diretto delle parti nell'escussione probatoria, con l'esigenza di garantire a ciascuna parte di interloquire senza mediazioni con la fonte di prova. L'intervento del presidente configura un “filtro” che ha il fine di permettere una corretta formazione della prova dichiarativa.
Se è vero che l'esame del teste minorenne avviene ordinariamente da parte del giudice sulle domande e contestazioni proposte dalle parti è però riservata al giudicante la valutazione circa l'opportunità dell'esame diretto qualora ritenga che l'esame incrociato non possa nuocere alla serenità del testimone (caso del teste quasi maggiorenne). Si segnala la introduzione a partire dal 20 gennaio 2016 della possibilità di sentire il minore-teste che sia anche persona offesa secondo modalità protette quando si tratta di soggetto nelle condizioni di particolare vulnerabilità delineate dall'art. 90 quater cpp fra cui rientra il legame affettivo o economico con l'autore del reato.
2) Analoghe esigenze di protezione, questa volta tese ad escludere il potenziale pregiudizio per la personalità del maggiorenne infermo di mente, hanno condotto, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 498 c. p. p. , ad un'estensione dell'eccezione alla conduzione diretta delle parti, sempre giustificata, quindi, dalla fragilità emotiva e psicologica del teste, che lo espone a facili suggestioni e condizionamenti. Ciò avviene solamente se emerge il pericolo della lesione alla personalità del soggetto esaminando.
3)Nel dibattimento davanti al tribunale in composizione monocratica e davanti al Giudice di pace si può derogare alla regola dell'esame incrociato condotto dagli interessati, a favore dell'esame condotto dal giudice « sulla base delle domande e contestazioni proposte dal pubblico ministero e dai difensori » , se sussiste la « concorde richiesta delle parti » (art. 559 co. 3 c. p. p. ). La richiesta non è vincolante per il giudice. La formula lascia poi intendere che l'organo giurisdizionale non necessariamente debba porre quelle stesse domande e neanche tutte le domande proposte. Si è osservato che l'operazione di “filtro” del giudice procedente nel formalizzare la domanda al teste nuoce al celere svolgimento della udienza e può incidere sulla spontaneità delle risposte.
In dottrina si sostiene che l'accordo delle parti ha natura di autentica “condizione” e deve quindi verificarsi prima dell'esercizio della funzione giudiziale, senza poter essere, perciò, surrogata dalla semplice iniziativa personale dell'organo giudicante. Di contro, esiste un diverso orientamento per il quale sarebbe sufficiente anche un consenso tacitamente prestato riguardo alle modalità di conduzione dell'esame testimoniale, come si attua nell'ipotesi della mancata opposizione all'iniziativa unilaterale assunta dal giudice.
4) Gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato non hanno la possibilità di esaminare direttamente il teste, in quanto il difensore è legittimato solo a « chiedere al presidente di rivolgere domande » alla persona sottoposta ad esame (art. 505 c. p. p. ). Quanto al momento in cui ciò può avvenire, la dottrina, essendo il ruolo dell'ente collettivo assimilabile alla parte civile, lo individua dopo l'esame (e il controesame) del soggetto esaminato compiuto dalla p. c. ovvero, in mancanza, di quello condotto dal pubblico ministero.
Ci si chiede poi se i poteri previsti dall'art. 505 c. p. p. possano essere esercitati anche alla persona offesa non costituita parte civile. L'orientamento dottrinale prevalente sostiene che l'art. 505 c. p. p. fa esclusivo riferimento agli enti esponenziali, osservando che tale possibilità prevista nel Progetto preliminare al codice di rito fu soppressa (in tal senso anche sez. I, 3 aprile 2003 n. 23360). Secondo un opposto indirizzo, il dato che emerge dai lavori preparatori non sarebbecomunque decisivo, mentre l'estensione alla persona offesa della facoltà discenderebbe dalla portata generale dell'art. 90 comma 1 c. p. p. , secondo cui la persona offesa in ogni stato e grado del procedimento può indicare elementi di prova.
Gli interventi del giudice a garanzia del corretto contraddittorio 1) per garantire che l'esame del testimone si svolga secondo modalità che siano rispettose della « persona » (art. 499 comma 4 c. p. p. ). L'intervento è diretto, in particolare, a tutelare valori come la dignità, il decoro, la reputazione sociale della persona, così da evitare che l'esame diventi occasione per offendere, aggredire verbalmente, dileggiare o comunque per mettere in cattiva luce colui che è chiamato ad assolvere l'ufficio di testimone.
2) per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni, ordinando, se occorre, “l'esibizione del verbale nella parte in cui le dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni ”. Può tradursi in un potere di veto in ordine alla formulazione della domanda e della conseguente risposta, Si tratta di una norma di chiusura che coordina l'oggetto del controllo presidenziale con l'insieme delle prescrizioni dettate nel sistema per lo svolgimento dell'esame incrociato ai fini dell'assunzione della testimonianza (art. 499).
3) per risolvere immediatamente e senza formalità l'incidente provocato dall'iniziativa delle parti mediante la formulazione di un'opposizione (art. 504 c. p. p. ) Lo strumento dell'opposizione ai quesiti consente alle parti di controllarsi vicendevolmente, evitando ex ante il realizzarsi di risultati istruttori “spuri” nella formazione della prova dichiarativa e si atteggia a rimedio immediato (e cioè operante ancor prima che il teste risponda) contro le possibili distorsioni concernenti tale prova. La decisione non è soggetta a gravame.
Opposizione accolta o respinta: e poi? A) In ragione della stretta correlazione tra il tema delle opposizioni ed il diritto alla prova, la dottrina afferma che, nell'ipotesi in cui il giudicante rigetti un'opposizione fondata, dando ingresso così ad una domanda illegittima, la soluzione interpretativa più congrua sia quella dell'inutilizzabilità del contenuto della risposta alla domanda oggetto di opposizione, posto che tale sanzione mira a salvaguardare la medesima esigenza cioè la corretta formazione della testimonianza perseguita con l'opposizione.
B)Viceversa qualora il giudice accolga un'opposizione non fondata, censurando una domanda che invece era ammissibile, alla parte non resterà altra via che il ricorso per cassazione contro la sentenza ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. d) c. p. p. , sempre che si tratti di una testimonianza dedotta come prova contraria e, per di più, decisiva. Al contrario la semplice inosservanza delle modalità prescritte dalla legge per l'assunzione della prova non può essere denunciata sotto il profilo della mancata assunzione di una prova decisiva ex art. 606 comma 1 lett. d) c. p. p. (sez. III, 27 maggio 2010).
Il potere - dovere del giudice di assumere nuove prove L'art. 507 cpp consente in caso di assoluta necessità (cioè se si tratta di prova decisiva o essenziale per risolvere dubbi nati da una istruttoria insufficiente) l'esercizio di poteri di ufficio da parte del giudice in funzione integrativa che la Cassazione, fin dal 1992, ha consentito anche nel caso di assoluta inerzia delle parti interessate ovvero di decadenza del potere di richiedere la prova o di inammissibilità. Ciò in omaggio al principio della finalità di ricerca della verità connaturata al processo penale.
In realtà la più recente giurisprudenza della Cassazione ha configurato il potere ex art. 507 c. p. p. alla stregua di un vero e proprio dovere quando ciò sia indispensabile per decidere, non essendo rimessa alla sua mera discrezionalità la scelta tra disporre i necessari accertamenti e prosciogliere l'imputato. Ha inoltre un obbligo specifico di motivazione in ordine al mancato esercizio di tale potere - dovere e pertanto la mancanza di una adeguata giustificazione della propria condotta determina un vizio di motivazione lesivo della legge dal quale deriva la nullità della sentenza (sez. V 11 ottobre 2005 n. 38674)
L'esercizio del potere ex art. 507 cpp è subordinato alla assoluta necessità (cioè al carattere di decisività della prova o della sua essenzialità per risolvere i dubbi sorti da un istruttoria insufficiente). Può riguardare anche la ricitazione di un teste già escusso salvo il diritto delle parti a concludere l'esame. La indicazione normativa per cui il suo esercizio deve avvenire al termine della “acquisizione della prova” va intesa nel senso che essa delimita solo il momento iniziale ma non preclude un esercizio al termine della discussione o anche successiva al momento in cui il giudice si è ritirato in camera di consiglio. La ammissione della nuova prova non preclude la introduzione di prova contraria ai sensi dell'art. 495 cpp co. 2 (Sez. Unite 17 ottobre 2006 n. 41281);
L'ordine di assunzione e la regola ex art. 151 disp. att. Se le nuove prove ammesse ex art. 507 cpp sono state sollecitate dalle parti, l'ordine di assunzione rispetta quello dettato dall'art. 496 (prima la prova richiesta dal p. m. e poi le altre parti ex 493). Se sono state introdotte senza una sollecitazione delle parti è lo stesso giudice che stabilisce l'ordine in questo modo: il giudice provvede direttamente all'assunzione formulando le proprie domande e quindi decide a quale parte spetta l'iniziativa sulla base della escussione già avvenuta, scegliendo la parte cui giova il mezzo di prova.
LE REGOLE PER L'ESAME Le domande devono essere specifiche (per evitare il discorso continuato che può celare una deposizione artefatta); Divieto di domande nocive (capziose, maliziose, tendenziose o che sottintendano minacce) che nuocciono alla sincerità del teste. Vi rientrano quelle che tendono ad innervosire il teste profittando di debolezze caratteriali o culturali o cercando di porlo in cattiva luce. Divieto di domande suggestive: riguarda solo la parte che ha richiesto l'esame (e quindi vale anche per il riesame) ed evita che la domanda suggerisca la risposta. Tali sono le cd domande trabocchetto che danno per presupposto un fatto non vero al fine di accertare le reali conoscenze del teste.
A causa dello stretto rapporto funzionale che normalmente intercorre tra interrogato ed interrogante nell'esame diretto, il legislatore ha inteso evitare chi chieda ed ottenga l'ammissione di un teste possa, durante l'escussione, anche “suggerirgli” le risposte, in modo da manipolare la genuinità della prova o da favorire la formazione di una deposizione prestabilita in partenza. Quindi, le domande suggestive sono vietate alla parte che ha chiesto l'esame del testimone (non solo la sua « citazione » , come impropriamente si esprime l'art. 499 comma 3 c. p. p. ) e a quella che ha un interesse comune.
IL GIUDICE PUO' RIVOLGERE DOMANDE SUGGESTIVE ? SI) il divieto non vale per il presidente in ragione del generale dovere del giudice di assicurare la genuinità delle risposte, da intendersi come facoltà di intervenire attivamente per smascherare errori e falsità del teste. NO) in un processo accusatorio, in cui la prova appartiene alle parti, non vi è ragione di ritenere squilibrata l'attribuzione alle stesse di un potere maggiore rispetto a quello del giudice. il presidente non è titolare di un interesse contrapposto alla parte.
Altri divieti - Sono vietate le domande sulla moralità dell'imputato (salvo che su fatti specifici atti ad illustrarne la personalità) e sulla moralità della persona offesa salvo che non servano a valutare il fatto attribuito all'imputato; - Sono vietate le domande sulla voci correnti nel pubblico e quelle che implicano apprezzamenti personali separati dalla narrazione dei fatti (art. 194 cpp); - Nei procedimenti per reati di violenza sessuale e pedofilia sono vietate le domande sulla vita privata e sugli orientamenti sessuali della persona offesa non necessari per la ricostruzione dei fatti (art. 472 c. 3 bis); - Non sono consentite domande su dichiarazioni rese dall'indagato o dall'imputato nel corso del procedimento; su fatti appresi da persone depositarie del segreto professionale o di ufficio.
Il divieto di testimonianza indiretta (art. 195 co. 4 c. p. p. ) dell'ufficiale/agente di p. g. Il divieto, come hanno chiarito le Sezioni Unite, opera anche nel caso in cui sia mancata la verbalizzazione delle informazioni ricevute, pur sussistendone l'obbligo. Il problema che la norma ha posto è quello di verificare quali siano gli "altri casi", nei quali è legittima la testimonianza de relato degli operatori di polizia giudiziaria.
Innanzitutto nell'ambito del divieto non rientrano: 1) comunicazioni che non hanno natura dichiarativa ma performativa, cioè hanno una funzione esecutiva, sono parole che costituiscono esse stesse un'azione (ad es. ordini, saluti, avvertimenti, congratulazioni, offese. . . ); 2) dichiarazioni fra terze persone a cui la p. g. abbia assistito e che assumono rilievo non per il loro contenuto ma per il loro storico accadimento; 3)le c. d. “res gestae” cioè quelle parole contestuali al fatto da provare che nell'accompagnarlo gettano luce su di esso (ad es. esclamazioni, commenti, spiegazioni. . . ). Si tratta di dichiarazioni che si compenetrano nell'evento e da esso sono inseparabili (es: il comportamento ammissivo dell'imputato che chiedeva perdono alla vittima, riferito da una teste vicina di casa, sez. III 29. 01. 2016 n. 27780)
Gli altri casi in cui è ammessa la deposizione de relato della p. g. esemplificativamente sono: 1) dichiarazioni percepite al di fuori dei compiti istituzionali di soggetti destinati a raccoglierli (es: le indicazioni date nell'immediatezza da un teste oculare sulla direzione presa dai rapinatori, indicazioni che non integrano narrazione alcuna, ma costituiscono fatti percepiti direttamente dai militi, al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione della notizia mediante verbalizzazione ex art. 357 c. p. p. ;
2) informazioni ricevute nel corso di un diverso atto investigativo anche atipico (nel corso di sequestri, perquisizioni, pedinamenti …). Vi rientrano anche le affermazioni spontanee rese da chi non è ancora indagato come nel caso (Sez. II 4 giugno 2010 n. 26044) del soggetto che si avvicini ai verbalizzanti chiedendo “perché si interessassero ai suo ciclomotore” 3) informazioni percepite non nella veste formale di operatore di p. g. preposto alla loro acquisizione come nel caso delle affermazioni fatte dal ferito ai suoi soccorritori; 4) le dichiarazioni raccolte in operazioni sotto copertura; IN SINTESI: il divieto di testimonianza di cui all'art. 195 c. p. p. , comma 4, concerne i fatti come sono narrati ("historia rerum gestarum") e non i fatti come accaduti ("res gestae").
5) le dichiarazioni raccolte nel corso di una diversa attività d'indagine, che sono state portate incidentalmente a conoscenza degli operatori di polizia giudiziaria e che vertono su circostanze diverse da quelle oggetto d'indagine; 6) le dichiarazioni spontanee rese da persone informate dei fatti (ai sensi dell'art 357 cpp per esse non corre l'obbligo di verbalizzazione ma è sufficiente la semplice annotazione). In tal senso sez. II 7 novembre 2007 n. 46023) con decisione commentata negativamente dalla dottrina.
Il rifiuto di sottoporsi all'esame (art. 500 c. 3 cpp) La conseguenza è quella di rendere non utilizzabili nei confronti della parte esaminante le dichiarazioni eventualmente rese all'altra parte, salvo il caso del teste intimidito o subornato. Da notare: la norma parla di rifiuto dell'esame o del controesame e non cita il caso del rifiuto del riesame. Ma l'interpretazione corrente vuole che per rifiuto debba intendersi quello opposto davanti a qualsiasi esame di qualunque tipo (ivi compreso il riesame) che sia condotto dall'una o dall'altra parte. Non equivalgono al rifiuto dell'esame né l'omessa risposta a singole domande né le pseudo risposte (evasive o non pertinenti)
Testimonianza indiretta e impossibilità di indicazione della fonte (195 comma 7) La norma per la quale non può essere utilizzata la dichiarazione di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame, deve essere interpretata nel senso che l'inutilizzabilità si ricollega alla volontà, diretta o indiretta, della fonte primaria di non consentire la verifica di quella secondaria. Ne viene che: - il divieto non si applica se la fonte non può essere verificata perché coincide con un soggetto coimputato; - quando il soggetto dichiarante abbia precisamente indicato la sua fonte immediata e quest'ultima non possa essere oggetto di ulteriore verifica perché non identificabile.
LE CONTESTAZIONI dell'esame testimoniale Costituiscono un tipo particolare di domanda con la quale si chiede conto delle difformità fra una risposta data nel corso dell'esame e una dichiarazione risultante dal fascicolo del p. m. Il presidente ha il potere di controllare la correttezza delle contestazioni e in tal caso può richiedere la esibizione del relativo verbale (solamente di quella parte che contiene le dichiarazioni contestate). Da ricordare: - la contestazione avviene mediante lettura della precedente dichiarazione e ci si chiede se possa avvenire in altro modo; - può riguardare anche il mancato ricordo e non solo la divergenza;
- se la contestazione non consegue effetto, le dichiarazioni utilizzate non valgono come prova ma esclusivamente per valutare l'attendibilità del teste; - sono utilizzabili per la contestazione anche le dichiarazioni rese in fase di indagini difensive e i verbali di individuazione di persone e cose e gli atti di individuazione fotografica, le dichiarazioni contenute in denunce e querele; - nel caso di sospetto che il teste sia stato intimidito o subornato si apre, su impulso di parte, un procedimento incidentale volto ad accertare la esistenza del presupposto (si richiedono elementi concreti ma non una prova piena e quindi non sono sufficienti i meri sospetti o soltanto il timore soggettivo espresso dal teste di poter essere minacciato) che si conclude con un provvedimento del giudice;
- quando il procedimento incidentale conclude per la sussistenza dei presupposti della intimidazione o subornazione le dichiarazioni precedenti sono acquisite e possono essere utilizzate come prova e ciò vale anche nel caso in cui il teste minacciato o subornato abbia opposto rifiuto a rispondere; - questa acquisizione prescinde da una previa contestazione che quindi non è necessaria e, a differenza delle dichiarazioni prodotte a seguito di contestazione, riguarda l'intero testo delle dichiarazioni precedenti.
Il caso del « riavvicinamento”e/o “riappacificazione» tra offeso ed imputato Secondo Sez. III 3 ottobre 2006 n. 38109 tale circostanza può costituire un «elemento concreto» rilevante ai fini dell'art. 500, comma 4, c. p. p. In particolare, un elemento tale da integrare, di per sé, il presupposto per la rituale acquisizione al fascicolo dibattimentale delle dichiarazioni anteriormente rilasciate dalla persona offesa “in quanto fatto idoneo ad alterare la genuinità del teste”, con la conseguenza di consentire al giudice di maturare il proprio convincimento sulla base di una «valutazione comparativa» delle suddette dichiarazioni e di quelle (nella specie ampiamente divergenti) rese dalla stessa persona offesa, assunta quale testimone, in sede di esame dibattimentale.
La decisione è stata criticata perché sembra ignorare che il meccanismo di «recupero» risultante dall'art. 500, comma 4, c. p. p. non opera in presenza di ogni «situazione di fatto» idonea ad inficiare la genuinità della deposizione testimoniale, ma unicamente quando si tratti di situazioni riconducibili all'area delle fattispecie di inquinamento della testimonianza (mediante intimidazione o subornazione) previste expressis verbis dal comma 4 dell'art. 500 cpp, quando l'attendibilità del teste viene posta in crisi da una di quelle descritte «condotte illecite» che siano state esercitate «in danno» del testimone stesso , recando con ciò «impedimento. . . all'esplicazione del contraddittorio» .
Ricapitolando, a fronte di una contestazione l'atteggiamento del teste può essere vario: 1)può limitarsi a confermare quanto precedentemente dichiarato o a rettificare quanto affermato in dibattimento. In sostanza, quindi, si riporta alle precedenti dichiarazioni. In tale ipotesi, poiché il teste ha confermato, nel dibattimento, quanto precedentemente dichiarato (magari rettificando le dichiarazioni dibattimentali), nessuno dubita che il giudice debba tenere conto delle suddette dichiarazioni proprio perché si tratta di dichiarazioni conformi sulle quali è cessato il contrasto;
2) può rendere dichiarazioni contrastanti con quelle rese precedentemente: in tal caso, l'art. 500 c. 2 c. p. p. stabilisce che le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate solo ai fini della credibilità del teste.
3) può dichiarare di non ricordare il fatto o la circostanza su cui viene esaminato ma, una volta effettuata la contestazione, potrebbe affermare che, se quella circostanza o fatto che non ricorda, l'ha dichiarata in sede di indagini, allora essa è vera. Quest'ultima dichiarazione produce due effetti: a) il teste afferma e certifica la veridicità di quanto prima affermato; b) di conseguenza, la suddetta dichiarazione, essendo stata effettuata in dibattimento, diviene pienamente utilizzabile.
Recentemente la Cassazione (sez. V 19 dicembre 2012 n. 13275 poi ripresa da sez. IV 24 sett. 2013 n. 43992) con riferimento alla circostanza che “le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste” ha osservato che ciò non sarebbe di alcuna utilità ed anzi darebbe luogo a un vano dispendio di attività processuale laddove la disposizione dovessere intese nel senso che, una volta stabilita nei modi suesposti l'inattendibilità della deposizione testimoniale resa in dibattimento a ritrattazione delle precedenti dichiarazioni, di queste non potesse ugualmente tenersi conto ai fini probatori.
Ma tale eccentrico orientamento è stato smentito da ultimo da Sez. III, 17 febbraio 2015 n. 20388 che ha affermato che a fronte di una contestazione, qualora il testimone persista nell'affermare che ad essere veritiera è la versione resa in dibattimento e che quella resa nelle indagini preliminari (e oggetto della contestazione) è mendace, il giudice ha la seguente alternativa: o presta fede alla versione resa in dibattimento dal testimone, che pertanto può costituire prova dei fatti narrati, oppure ritiene che il testimone non sia credibile, e pertanto non utilizza le sue dichiarazioni dibattimentali nell'accertamento dei fatti. Non esiste invece una terza via che consenta di recuperare come prova il contenuto narrativo delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari e oggetto delle contestazioni.
Possiamo dunque concludere che: "non credere a un testimone" non autorizza automaticamente a "credere al contrario di quello che il testimone racconta". Ma attenzione: Il discorso fin qui condotto non vale per il giudizio abbreviato condizionato dove non esiste una gerarchia delle prove e la tesi di un maggiore rilievo di quella formata nel corso del giudizio abbreviato condizionato non ha riscontro normativo. Qui sono oggetto di valutazione non solo gli elementi acquisiti al fascicolo del pubblico ministero, ma anche quelli formatisi nel contraddittorio e che si pongono ad "integrazione" dei primi (sez. II 17. 01. 2014 n. 18365)
Casi particolari di assunzione di dichiarazioni precedentemente rese 1) le dichiarazioni assunte dal giudice ex art. 422 cpp in udienza preliminare (cd supplemento istruttorio) a richiesta di parte e sempre che siano state oggetto di contestazione. Sono consentite nei confronti delle parti che hanno partecipato al contraddittorio. La norma parte dal presupposto che gli imputati nel giudizio non coincidano con quelli dell'udienza preliminare (es. processi separati in udienza prel. per compiere il supplemento istruttorio e poi riuniti n dibattimento).
2) Accordo delle parti per acquisire al fascicolo del dibattimento le dichiarazioni contenute nel fascicolo del p. m. o nel fascicolo delle indagini difensive (art. 500 co. 7). Si tratta di una applicazione speciale del modello derogatorio indicato dall'art. 431 co. 2 c. p. p. Secondo la dottrina ciò può avvenire solo dopo l'esame orale del teste mentre non sarebbe consentito alle parti di prescindere dall'esame allo scopo di utilizzare solo il verbale perché ciò sovvertirebbe il canone costituzionale probatorio.
Reati reciproci – reati connessi o collegati ed esame della persona offesa che sia anche imputata Secondo un originario e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'incompatibilità a testimoniare non sussisteva quando l'imputato o indagato di un reato connesso o collegato fosse anche persona offesa dal reato rispetto al quale era chiamato a deporre, in quanto quest'ultima veste di testimone prevaleva per la sua maggiore "pregnanza", con l'obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli erano rivolte e perché la citazione quale parte lesa era comunque imposta dall'art. 429 c. p. p. Tale orientamento è stato superato dalle Sezioni Unite (sent. 17 dic. 2009 n. 12067) con la quale …. . . (segue)
…. premesso che la scelta del legislatore della riforma di includere, innovando sulla previgente disciplina, nell'area del diritto al silenzio, gli imputati di reati reciproci, ha privato di ogni fondamento normativo la tesi tradizionale, ha fissato il principio per cui il soggetto che cumuli in sé le qualità di persona offesa dal reato e di indagato in atto o imputato nei cui confronti non sia stata emessa sentenza irrevocabile, in un procedimento connesso (nesso teleologico) a sensi dell'art. 12 c. p. p. , comma 1, lett. e) o relativo a un reato collegato a norma dell'art. 371 c. p. p. , comma 2, lett. b) può assumere l'ufficio di testimone, a condizione che sia dato l'avviso di cui all'art. 64 c. p. p. , comma 3, lett. c) e con il rispetto delle norme che regolano l'assunzione delle dichiarazioni del "teste assistito".
Ma attenzione alla nozione di reati reciproci! Non sussiste incompatibilità a testimoniare con riferimento a quei reati che, seppure formalmente "reciproci", nel senso cioè di essere stati commessi in danno reciproco, siano tuttavia stati consumati in contesti spaziali e temporali del tutto distinti ed estranei dunque all'art. 371, co. 2, lett. b. La dottrina ha segnalato come la comprensione nell'ambito del collegamento tra reati anche di tali ipotesi cioè dei reati formalmente reciproci ben potrebbe lasciare il varco a denunce strumentalmente finalizzate a creare situazioni di incompatibilità a testimoniare (come nel caso in cui l'indagato per violenza sessuale denunzi la vittima per il reato di calunnia).
Quindi: la persona offesa di un reato, che poi sia stata a sua volta denunciata per altri reati dal soggetto asseritamente autore di quello in suo danno, non versa in situazione di incompatibilità con l'ufficio di testimone puro nel procedimento per il reato che le ha recato offesa, e può essere sentita senza le garanzie dell'assistenza difensiva, perché nella nozione di reati reciproci, rientrano soltanto quelli commessi nel medesimo contesto spaziotemporale e quindi in stretto collegamento naturalistico (Sez. III 8 maggio 2013 n. 26409 e Sez. II 9 gennaio 2015 n. 4128) e dunque soltanto quelli commessi sostanzialmente in unità di tempo e di luogo.
Le conseguenze dell'omesso avviso ex art. 64 Sul contrasto giurisprudenziale (inutilizzabilità delle dichiarazioni ovvero nullità a regime intermedio eccepibile ma solo dal teste assistito ovvero mera irregolarità con piena utilizzabilità) è intervenuta Sez. Unite 26 marzo 2015 n. 33583 che ha fissato il principio per cui l'avviso non è mai da pretermettere (art. 210 co. 6) conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni rese erga alios rese in dibattimento nel corso dell'esame ex art. 210 cpp, salva la possibilità di rinnovare la deposizione testimoniale indebitamente assunta. Ciò perché il dichiarante deve essere sempre posto nella condizione di essere libero e consapevole allorché compie dichiarazioni sul fatto altrui.
Infine, dopo che nei confronti del teste imputato di reato connesso a sensi dell'art. 12 c. p. p. , comma 1, lett. c), o relativo a un reato collegato a norma dell'art. 371 c. p. p. , comma 2, lett. b) sia stata emessa sentenza irrevocabile, questi può assumere l'ufficio di testimone, senza il previo avviso di cui all'art. 64 c. p. p. , comma 3, lett. e) ma con il rispetto delle norme che regolano l'assunzione delle dichiarazioni del "teste assistito". Se tale sentenza é di proscioglimento "per non aver commesso il fatto", non sussistono neppure i limiti di cui all'art. 191 bis c. p. p. , commi 3 e 6.
La scansione degli adempimenti per l'esame dell'imputato connesso in forma debole L'art. 210 co. 6 non chiarisce la sequenza degli adempimenti e degli obblighi richiesti all'imputato “connesso”. Si possono verificare situazioni diverse: 1) Se l'imputato ha già versato dichiarazioni sul fatto altrui in istruttoria corredate dall'avviso ex art. 64 cpp ed è stato citato perché riferisca sul fatto altrui, è chiaro che se sceglie di rispondere assume immediatamente la veste di testimone e dovrà rendere giuramento ex art. 497 cpp; segue. . .
2) se viceversa l'imputato di reato connesso non ha reso precedenti dichiarazioni sul fatto altrui, la qualità di testimone potrà eventualmente emergere in corso di esame e in tal caso una parte della dottrina suggerisce che solamente a quel punto gli si dovrà dare lettura della impegnativa ex art. 497 co. 2 cpp per assumerne il giuramento e sarà nuovamente formulata la domanda sul fatto altrui per ricevere risposta secondo verità. Per rendere compatibile tale iter con la lettera della norma che colloca l'avviso ex 497 cpp all'inizio dell'esame viene suggerito che l'esame sul fatto altrui debba essere rinviato in modo da separare diacronicamente le due fasi dell'esame (così Tonini in Manuale di procedura penale).
IL RECUPERO DELLA DEPOSIZIONE DELL'IRREPERIBILE La irripetibilità di natura oggettiva - che costituisce il cardine del meccanismo di recupero al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni rese in sede di indagini, disciplinato dall' art. 512 c. p. attiene al procedimento di assunzione della prova, ovverosia alla "ripetizione dell'assunzione dell'atto dichiarativo”, la quale deve risultare fenomenicamente, e perciò oggettivamente, dal punto di vista processuale, irrealizzabile.
Ciò comporta che l'acquisizione delle dichiarazioni rese al di fuori del contraddittorio è consentita - ai sensi dell'art. 512 c. p. p. così come ai sensi dell'art. 512 bis c. p. p. - soltanto a condizione che il giudice abbia esplorato, senza successo, tutte le possibilità e tutti gli strumenti a sua disposizione per cercare di superare gli ostacoli e di pervenire alla formazione della prova in contraddittorio.
La differenza fra art. 512 e 512 bis La differenza tra le due disposizioni consiste nella circostanza che l'art. 512 bis non contempla il requisito della imprevedibilità della sopravvenuta impossibilità di ripetizione, e ciò si spiega con il fatto che riguarda soggetti già residenti all'estero e che possono essersi trovati anche per brevissimo tempo, comunque di passaggio, in Italia.
L'acquisizione non può, pertanto, discendere dalla constatazione di difficoltà logistiche, di spese elevate, di intralci burocratici, connessi alle procedure volte ad ottenere la ripetizione dell'esame, giacché in tali casi non ricorre una impossibilità assoluta di natura oggettiva. Parimenti non ricorre assoluta impossibilità nel caso in cui del teste, residente all'estero, pur non presentatosi, si conoscano i recapiti telefonici e risulti manifestata la disponibilità, di essere esaminato mediante rogatoria internazionale (sez. I 7 giugno 2011 n. 31881).
L'assoluta impossibilità di ripetizione dell'esame non può insomma consistere nella mera circostanza che al giudice italiano non sia consentito ordinare, ex art. 133 c. p. p. , l'accompagnamento coattivo di una persona perchè è residente all'estero. Questa non è una impossibilità materiale e assoluta, ma una mera difficoltà di tipo giuridico, sempre presente in tutte le ipotesi di testimone che vive fuori dal territorio nazionale. Sicché …
…. . . in tutti i casi in cui la mancata presenza del testimone dipenda da tale fatto e dalla circostanza che non abbia intenzione di rientrare in Italia per deporre in giudizio, il giudice, deve comunque attivarsi per compiere: prima tutte le indagini occorrenti per localizzare il teste, specie se di questi si conosce il numero telefonico e si ha traccia dei luoghi dove ha abitato; quindi tutte le attività necessarie per esaminarlo in contraddittorio tra le parti, attività tra le quali rientra anzitutto il ricorso a una rogatoria internazionale così detta "concelebrata" (sez I, 7 giugno 2011 n 31311).
La testimonianza di soggetti dediti al meretricio E' legittima la lettura ai sensi dell'art. 512 c. p. p. delle dichiarazioni rese precedentemente se l'irreperibilità non era prima pronosticabile ed in assenza di dati sintomatici della volontà delle testi di sottrarsi al contraddittorio dibattimentale, tenuto altresì conto che il PM si era attivato al fine di acquisirne le dichiarazioni nelle forme dell'incidente probatorio, non potutosi svolgere non per irreperibilità ma per non essere state le stesse rintracciate dalla polizia giudiziaria (sezione III, 18 luglio 2014 n. 42013).
Per acquisire ex art. 512 c. p. p. , il giudice deve procedere ad una "prognosi postuma" della imprevedibilità della sopravvenuta irreperibilità della persona della quale non è possibile effettuare l'esame ed il giudice deve rigorosamente rendere conto a livello motivazionale, pena la non acquisibilità. Nel caso di specie, non è stata ritenuta causa di imprevedibilità il fatto che un soggetto sedicenne dedito alla prostituzione avesse una relazione con uomo ultra quarantenne (Sez. III, 7 maggio 2014 n. 21250)
La condizione di cittadino extracomunitario privo di permesso di soggiorno non è sufficiente, di per sé, a rendere prevedibile il suo allontanamento dal territorio nazionale e la sua assenza nel dibattimento; di conseguenza, nei casi di impossibilità sopravvenuta di ripetizione, è possibile dare lettura in dibattimento delle dichiarazioni dallo stesso rese in sede di indagini preliminari (sez. I, 11 maggio 2006 n. 16210)
Acquisizione ed utilizzazione della prova La prova legittimamente acquisita ex art. 512 c. p. p. per essere pienamente utilizzata va accompagnata all'accertamento che il testimone non si sia “volontariamente sottratto all'esame delle parti" (art. 526 c. p. p). L'irreperibilità sopravvenuta dopo la notifica della citazione a teste può certamente assumere il connotato della libera scelta di sottrarsi all'esame.
L'irreperibilità sopravvenuta, non correlata a elementi che denotino una manifestazione di volontà esplicita in relazione all'obbligo di testimoniare e non correlata ad una citazione a giudizio, non può essere considerata presuntivamente come volontaria scelta di sottrarsi all'esame dell'imputato ed anzi integra un'ipotesi di oggettiva impossibilità di formazione della prova in contraddittorio (S. U. 28 maggio 2003 n. 36747, rv. 225470) Ma non basta ….
. . . nell'ipotesi di impossibilità oggettiva di ripetizione dell'esame in contraddittorio che non dipenda da libera scelta ma neppure da coartazione ad opera dell'imputato, dovranno soccorrere regole di valutazione per quanto possibili conformi ai precetti sovranazionali, che tengano conto del ridotto valore euristico (art. 6 CEDU) delle dichiarazioni unilateralmente assunte e dunque esse andranno confortate da elementi esterni di riscontro.
In giurisprudenza è fermo il principio per cui le dichiarazioni predibattimentali pur legittimamente acquisite ex 512 cpp, non possono, conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, fondare in modo esclusivo o significativo l'affermazione della responsabilità penale (Sez. Unite 25 novembre 2010 n. 27918 e da ultimo sez III 12 ottobre 2016 n. 54987). A meno che il pregiudizio così arrecato ai diritti di difesa sia stato controbilanciato da elementi sufficienti ovvero da solide garanzie procedurali in grado di assicurare l'equità del processo nel suo insieme come nel caso in cui (Sez. VI, 13 novembre 2013 n. 2296) le dichiarazioni ex art. 512 bis c. p. p. , non fossero da considerarsi indispensabili perché l'accusa era sostenuta da ulteriori emergenze processuali).
Testimonianza e CEDU Quando una deposizione non è assunta nuovamente in dibattimento nel rispetto del contraddittorio la violazione dell'art. 6 della Convenzione sotto il profilo della impossibilità della difesa di esaminare i testi di accusa e quindi della non equità del processo non si verifica se: 1) esiste un motivo serio di tale impossibilità; 2) la deposizione non è essenziale/determinante ai fini della affermazione della responsabilità; 3)esistono altri elementi tali da compensare l'ammissione della prova così da permettere un giudizio equo sulla sua affidabilità.
Esempio tratto dalla giurisprudenza CEDU Il teste, cittadino marocchino, non ha potuto essere nuovamente sentito in dibattimento perché irreperibile in Italia e di lui si sa solamente che è nato a Casablanca. La Corte di Giustizia censura che nel procedimento “interno” non sia stato fatto ricorso alla collaborazione internazionale per rintracciare il teste in patria. Ciò nonostante esclude che vi sia stata violazione del principio del processo equo perché: segue ….
1) Non si trattava di testimonianza determinante perché questa era rappresentata dal racconto della vittima (del reato di violenza sessuale) che doveva comunque essere ritenuta attendibile perché confermata da altri elementi (deposizione del medico che l'aveva visitata e dei Carabinieri che ne avevano raccolto la denuncia); 2) il vulnus a danno della difesa derivante dalla acquisizione del contenuto della deposizione “non verificata” in contraddittorio era controbilanciata sia dalla esistenza di altri elementi (quelli sopra indicati) che ne dimostravano la affidabilità, sia dalla forte similitudine fra la deposizione del teste assente e quella della vittima assunta in contraddittorio.
Infine, vi è da ricordare a proposito degli “elementi compensatori” che la Cedu ha fissato il principio per cui: PIU' E' IMPORTANTE AI FINI DELLA DECISIONE LA DEPOSIZIONE DEL TESTE “ASSENTE” PIU' DEVONO ESSERE SOLIDI GLI ELEMENTI COMPENSATORI AFFICHE' LA PROCEDUTA SIA CONSIDERATA EQUA (sentenza Vronchenko c/Estonia 18 luglio 2013)
Dichiarazioni diversamente valutate in primo grado ed in grado di appello Il principio contenuto nell'art. 6 della Convenzione secondo il quale ogni accusato ha il diritto di esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico ha fatto sì che la Corte di Strasburgo (Hanu c/Romania sent. 4 giugno 2013) lo applicasse nell'occuparsi dei limiti di carattere probatorio alla riforma in appello della decisione assolutoria di primo grado, fissando il seguente principio cardine:
E' conforme ai principi della Convenzione la decisione di grado superiore che riformi in pejus la sentenza assolutoria emessa in primo o secondo grado, ma, qualora tale riforma consegua ad una diversa valutazione delle prove orali ritenute decisive, è indispensabile procedere ad un nuovo esam dei testi in sede di gravame.
Nella giurisprudenza interna si era venuto a formare un primo orientamento che escludeva che il giudice d'appello avesse l'obbligo, per procedere alla "reformatio in peius" della assoluzione, di procedere risentire il teste quando 1) si fosse trattato di dichiarazioni che non necessitavano di chiarimenti o integrazioni e non sussistevano ambiguità da dirimere; 2) la persona da escutere fosse stata vittima di un reato che ne avesse leso gravemente e violentemente la libertà personale ed il cui effetto era stato, in misura maggiore o minore, pregiudizievole per la vittima medesima e tale da far ritenere che la rievocazione ulteriore del fatto in sede processuale potesse per essa essere oggettivamente lesiva.
Recentemente però la Cassazione (sez. III 7 gennaio 2014 n. 5907) rammentando le parole della Corte EDU secondo cui che "la valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate" è giunta alla affermazione che il c. d. principio cardine non può soffrire eccezioni o deroghe soprattutto quando, come nel caso preso in esame, si tratti di prova testimoniale di persona offesa maggiorenne e la stessa appaia decisiva ai fini dell'affermazione della responsabilità penale.
La corte di Cassazione (sentenza sez. II 22/12/2014 n. 1947) ha poi ricordato che: le dichiarazioni degli imputati non hanno valore probatorio, ma funzione difensiva e come tali possono essere liberamente valutate dal giudice alla luce delle risultanze dibattimentali, senza necessità che rispetto ad esse si applichi quel principio della immediatezza nelle assunzioni delle prove che sta alla base della giurisprudenza della Corte EDU.
Rinnovazione e giudizio abbreviato La rinnovazione della istruzione dibattimentale è necessaria anche quando il giudice dell'appello intende operare un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova orale acquisita dal primo giudice in sede di integrazione probatoria nel corso del giudizio abbreviato (sez. III, 23 giugno 2015 n. 38786). Invece, non vi è obbligo di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale quando in ragione della scelta del rito abbreviato neppure in primo grado si sia instaurato, un contatto diretto tra l'autorità giudiziaria e la fonte dichiarativa (in tal senso, Sez. III, 30 settembre 2014 n. 45546),
Per ricapitolare: la esigenza di rinnovazione della prova dichiarativa riguarda i testi “puri”, quelli “assistiti”, i coimputati di reato connesso o collegato e vale anche con riguardo ai procedimenti decisi con rito abbreviato o in caso di appello per i soli interessi civili. Con sentenza della sez. III 17 gennaio 2017 n. 1691 è stato invece esclusa la necessità di rinnovazione quando il giudice dell'appello intenda discostarsi dai pareri espressi in primo grado da periti e consulenti tecnici in quanto la loro posizione non è totalmente assimilabile al concetto di prova dichiarativa.
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