Appunti sul corso di Filosofia Teoretica del secondo

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Appunti sul corso di Filosofia Teoretica del secondo semestre dell’anno accademico 2016 -2017,

Appunti sul corso di Filosofia Teoretica del secondo semestre dell’anno accademico 2016 -2017,

Guardo il sole tramontare: mi par triste, lo confesso, ma mi posso consolare: pare

Guardo il sole tramontare: mi par triste, lo confesso, ma mi posso consolare: pare triste solo adesso, ora che, da spettatore, guardo fisso quella scena. Guardo il sole che là muore, ma non provo vera pena: forse mi commuovo un poco, ma non so dimenticare che è soltanto in fondo un gioco, che il dolore è in quel giocare.

Guardo il sole che scolora quasi mi fa pena: giusto per un quarto d’ora,

Guardo il sole che scolora quasi mi fa pena: giusto per un quarto d’ora, poi andiamo tutti a cena. C’è qualcuno nella via che fischietta un motivetto: mi par lieto, tuttavia a te pare che dal petto strappi un pianto senza freno. “A te pare malinconico? A me invece par sereno!” Non è certo categorico

questo incerto giudicare che il dissidio lascia correre e che vieta il disputare. Sì,

questo incerto giudicare che il dissidio lascia correre e che vieta il disputare. Sì, lo so, ne puoi discorrere ed è bello concordare, ma una vera affermazione, che sia in toto un giudicare, è un pretendere ragione: se soltanto sembra a te non puoi proprio giudicare non puoi dire “questo è”. Questo dunque può insegnare

quel tuo sciocco motivetto: se al dissidio si acconsente è perché ciò che è

quel tuo sciocco motivetto: se al dissidio si acconsente è perché ciò che è opinione non pretende dir dell’ente ma di cose della mente. Dunque: quel tratto espressivo che fa il sole commovente è soltanto soggettivo? “È soltanto soggettivo, sono io che mi commuovo!”: sembra molto persuasivo, ma il dolore io lo trovo

proprio là fuori nel mondo; e di questo sono certo: io non sempre l’assecondo.

proprio là fuori nel mondo; e di questo sono certo: io non sempre l’assecondo. Sotto un cielo azzurro e aperto io mi sento disperato; sotto un cielo cupo e nero, (questo a volte l’ho provato) son felice per davvero. Qui, mi pare, siamo giunti dopo tre, quattro lezioni; titolone sugli appunti: paradossi ed ossessioni.

Ossessioni? Ma suvvia! A me sembra esagerato che un po’ di filosofia ti riduca

Ossessioni? Ma suvvia! A me sembra esagerato che un po’ di filosofia ti riduca in questo stato. Io, per me, resto tranquillo: te lo dico per davvero. La puntura di uno spillo più mi turba, son sincero. Sarà forse che il tramonto non mi dice proprio niente. Pianga pure qualche tonto con lo sguardo all’occidente.

Ma comunque il paradosso par racchiuso in questi punti: questo, un po’ ridotto all’osso,

Ma comunque il paradosso par racchiuso in questi punti: questo, un po’ ridotto all’osso, chiaro è scritto negli appunti. Se tu dici “soggettivo” non ti riesce di spiegare perché mai ciò che è espressivo tu lo possa ritrovare tra le cose, là, nel mondo. Ma se tu credi che il sole triste sia come è rotondo ti dirò con due parole

che ti inganni per davvero: che sia al vespro triste il sole non è

che ti inganni per davvero: che sia al vespro triste il sole non è falso e non è vero: è la “è” che non ci vuole. È così che abbiam provato una nuova spiegazione: sembra il sole addolorato? È per una proiezione che consente tuttavia di trovar nel sol morente, in virtù dell’empatia, quel che in sé ciascuno sente.

Così accade quando miri dritta in piedi una colonna: una forza par che spiri

Così accade quando miri dritta in piedi una colonna: una forza par che spiri e quel marmo si fa donna. La colonna si è animata dello sforzo che hai provato. La tua vita le hai prestata: la cariatide hai creato. Così accade quando cogli nelle cose un’espressione: da te stesso tu la togli per compartecipazione.

Ma se tu ti sei convinto che un Adagio abbia espressione perché un senso

Ma se tu ti sei convinto che un Adagio abbia espressione perché un senso è stato attinto proprio dalla proiezione di ciò che il soggetto vive, ti dirò diritto in viso che le proprietà espressive son per te, come in Narciso, frutto di rispecchiamenti che ti lasciano trovare solo quello che già senti: non c’è niente da imparare.

Sarò forse troppo vecchio per potermi innamorare di quel che vedo allo specchio, ma

Sarò forse troppo vecchio per potermi innamorare di quel che vedo allo specchio, ma non riesco a tollerare che ogni senso rilevante ora triste, ora giocoso sia il riflesso tremolante di un soggetto presuntuoso che rifiuta di imparare la dolcezza dalla sera, la malinconia dal mare e pretende di piegare

ogni cosa al suo latino. Fu così da noi deciso di tentar altro cammino:

ogni cosa al suo latino. Fu così da noi deciso di tentar altro cammino: è il mio testo un po’ conciso, e di questo, sai, mi scuso, ma ho soltanto disegnato sopra il foglio un triste muso di un bestione sfortunato. Guarda bene: è un san Bernardo uno splendido cagnone, par che dica in cuore: “Ardo!” ma è un sembrar senza ragione

perché i tratti suoi espressivi che di gioia sono privi sono certo intransitivi, così

perché i tratti suoi espressivi che di gioia sono privi sono certo intransitivi, così almeno dice Kivy. Or, la musica assomiglia a quel muso addolorato: una penna in mano piglia ed il segno che hai tracciato che ripete l’armonia di un adagio triste e lento par disegni per magia l’agir d’un uomo sgomento.

È una musica espressiva eco di un comportamento; resta certo intransitiva: non esprime un

È una musica espressiva eco di un comportamento; resta certo intransitiva: non esprime un suo sgomento, tuttavia lo rappresenta. È così che l’espressione, si dà a chi con mente attenta, ha una buona cognizione della forma degli eventi e del loro somigliare a quei tuoi comportamenti che ti fan manifestare

la paura ed il dolore le tristezze e l’allegria e le gioie dell’amore e

la paura ed il dolore le tristezze e l’allegria e le gioie dell’amore e poi la malinconia. A me Kivy mi è piaciuto e poi anch’io c’ho un San Bernardo. M’è sembrato un tipo astuto che ho da di’: proprio gagliardo. Ma Spinicci ti pareva lui s’è messo a criticare: non so più cosa diceva. Quanto gli piace parlare…

Alla fine mi è sembrato che dicesse in fondo questo: Kivy forse si è

Alla fine mi è sembrato che dicesse in fondo questo: Kivy forse si è sbagliato nel pensar ch’io senta mesto un adagio di Albinoni sol perché una stessa forma l’accomuna alle espressioni, quasi che ne fosse l’orma. Credi, sai, non è abbastanza per sentir triste un adagio afferrar la somiglianza con il far di chi è a disagio.

Il giudizio tuo assertivo “queste forme sono eguali” coglie un fatto che è oggettivo,

Il giudizio tuo assertivo “queste forme sono eguali” coglie un fatto che è oggettivo, spiega i vincoli causali che ti fan balzare il petto, ma comprendere la causa non vuol dir sentir l’effetto: l’argomentazione è scrausa. Questo sai: che sono eguali, ma nel cuor senti lo strazio. Sono due diversi quali: è una elenchi ignoratio.

Alla fine sul quaderno ci ha dettato dieci punti: manco fosse il padreterno. Li

Alla fine sul quaderno ci ha dettato dieci punti: manco fosse il padreterno. Li ho trascritti sugli appunti. Ma sui fogli un poco unti dal mio cane mordicchiati non si leggon più quei punti e così non li ho studiati. Giunto è aprile e si fa festa, credo, forse, per le tesi, e così non c’ho più testa per le cose che per mesi

un pochino mi han turbato. Ora l’unico pensiero che il mio sonno fa agitato

un pochino mi han turbato. Ora l’unico pensiero che il mio sonno fa agitato te lo dico per davvero: è l’esame da passare. Mi hanno detto tutti quanti che non c’è niente da fare, che ne boccia proprio tanti. Lui ti ascolta e sulla faccia leggi presto la sentenza: che il tuo dire non gli piaccia chiaro è in ogni movenza

or degli occhi, or delle mani. Se si gratta poi la testa, i tuoi

or degli occhi, or delle mani. Se si gratta poi la testa, i tuoi sforzi si fan vani: è finita ahimè la festa. Quanto ai libri è necessario che sian letti senza fretta. Se ti dico che è un calvario, non potrai che darmi retta! Son dolori e patimenti il libretto di Benenti; è un supplizio di Anastasio il libretto di Ravasio.

E che dir della dispensa? Ha il sapore un po’ sgraziato dei fusilli della

E che dir della dispensa? Ha il sapore un po’ sgraziato dei fusilli della mensa, ma non dirlo, sciagurato! Agli esami dire il vero è l’error del principiante. La dispensa è un cimitero? L’hai trovata ripugnante? Tu dormivi come un ghiro già a metà di ogni lezione? Non lo dire. Fai un respiro, prova con l’adulazione:

“Professore, mi è piaciuto…” “ho trovato interessante…” “è davvero un passo arguto…” “è un

“Professore, mi è piaciuto…” “ho trovato interessante…” “è davvero un passo arguto…” “è un problema assai intrigante…” Poi alle lodi contrapponi, senza troppo esagerare, delle piccole obiezioni: ti faran ben figurare. Fingi qualche dubbio strano con un doloroso accento e tormenta con la mano or la fronte ed ora il mento.

Ti conviene, sai, provare le espressioni tue allo specchio: se saprai ben recitare dentro

Ti conviene, sai, provare le espressioni tue allo specchio: se saprai ben recitare dentro il sacco metti il vecchio. Ma se in fondo nell’esame vedi solo l’occasione per far nascer dallo stame, quando è giunta la stagione, qualche frutto che ti piace, lascia perdere lo specchio e lo sguardo perspicace per far su con poco il vecchio.

Leggi, gioca e pensa ancora, sia poi il voto quel che sia, manda i

Leggi, gioca e pensa ancora, sia poi il voto quel che sia, manda i furbi alla malora: fa’ un po’ di filosofia, fanne un po’, ma a sufficienza per cavarti dagli impicci; serve un poco di pazienza: molti auguri da Spinicci. Lapo Piccionis